Editoriale

Quali politiche del lavoro servono

Gli italiani, ed altre popolazioni industrializzate, hanno subito notevoli cambiamenti nell’ultimo mezzo secolo. L’aspettativa di vita è sensibilmente aumentata e la popolazione è invecchiata. Nel 1970, l’aspettativa raggiungeva i 71 anni; oggi è salita a 83 anni per i maschi e 86 per le femmine. Un notevole progresso, frutto dei miglioramenti, della qualità della vita e delle condizioni socio-economiche, nonostante la recente pandemia. Parallelamente, le nascite sono diminuite da 18 ogni 1000 abitanti nel 1970 a 6,4 ogni 1000 abitanti oggi. In 50 anni, abbiamo assistito a una drastica riduzione di due terzi delle nascite. Questi dati cruciali evidenziano che, in futuro, i fattori in discussione diverranno ancora più accentuati.

Tali statistiche dovrebbero stimolare riflessioni della nostra classe dirigente, mirate a politiche del lavoro capaci di fare i conti con la realtà. Siamo da tempo stretti dall’inverno demografico, dalla crescita esponenziale del numero degli anziani, dalla scarsa capacità del nostro sistema educativo di sostenere la domanda di alte qualificazioni, mentre molti giovani verso emigrano nei paesi che offrono retribuzioni più generose.

Usiamo ancora i paradigmi del welfare e di regolazioni del mercato del lavoro di altre epoche lontane, ed è così anche per il sistema dell’education. Non c’è alcunché orientato a sostenere l’allineamento delle competenze alla rivoluzione tecnologica in atto. Tutto questo accade in un contesto di forti cambiamenti dei modi di produrre, spiazzati e danneggiati come siamo dai ritardi colpevoli della nostra classe dirigente.

Non si intende fare i conti con i tanti lavoratori anziani che ancora riteniamo erroneamente in uscita dalle produzioni, che invece sono una risorsa preziosa per le attività produttive. Se fossero incentivati da normative flessibili e da occasioni convenienti per la loro situazione personale previdenziale futura potrebbero fare molto. Insomma, chi non ce la più a lavorare è un conto; chi invece è interessato a restare al lavoro dovrà essere messo nelle condizione di usare intensivamente le proprie competenze ed esperienze da arricchire con percorsi leggeri di formazione digitale.

Un’azione potente di orientamento per l’intrapresa di percorsi professionali di alta qualificazione dovrà riguardare i giovani. Le aziende, d’altra parte, faticano ormai da troppo tempo a gestire le necessità dell’evoluzione produttiva con forti esposizioni nella competitività. Un piano straordinario di istruzione e formazione per le alte qualificazioni, rivolto sia ai giovani che agli anziani, è la scelta che va fatta rapidamente. L’impatto delle innovazioni tecnologiche e dell’invecchiamento della popolazione avrà un effetto sempre più accentuato sul mercato del lavoro, come già si verifica in altre società avanzate. Dunque è davvero pericoloso restare fermi.

Le aziende incontrano crescenti difficoltà nell’assumere lavoratori qualificati, che rappresentano quasi il 50% delle potenziali assunzioni, con un tasso di occupazione tra i 25 e i 64 anni che si attesta al 66%, inferiore di 10 punti rispetto alla media dei paesi dell’UE. Questa misera condizione, se non corretta, ci costerà molto cara; depotenzierà la nostra capacità di rifornire il mercato del lavoro, portandolo al collasso. L’alto debito ed alti tassi di interessi da pagare e PIL in arretramento a causa della contrazione produttiva, sono lo scenario che ci aspetta qualora non dovessimo cambiare rotta.

Tuttavia, avremmo ancora margini razionalizzando le energie del nostro patrimonio umano, mettendo in campo politiche innovative di istruzione e formazione, su misura delle potenzialità che ancora esprimiamo. Parti sociali, governo centrale e locali, dovrebbero collaborare nell’offrire una soluzione nuova e valida per il Paese. Le Parti sociali ed il governo allora facciano la loro parte e si diano da fare. Le forze politiche decidano una volta per tutte a mettere al centro della loro azione e dialettica gli aspetti che contano per l’economia e le condizioni del lavoro. Spesso sembra che si dimentichino che proprio questo dovrebbe essere il loro compito. Ad esempio, ora, si stanno occupando freneticamente d’altro, anzi prevalentemente di loro stessi.

Raffaele Bonanni

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