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La promozione sociale dei detenuti non è utopia

La comunità cristiana è chiamata ad educare, aiutare, riabilitare, far sentire ciascuna persona degna di essere amata e di essere promossa nella vita sociale. Mi auguro che nella Chiesa e nella società civile si tenga conto dell’articolo 27 della Costituzione Italiana che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

La pena dentro la prigione ha senso se, mentre afferma le esigenze della giustizia e scoraggia il crimine, serve al rinnovamento della persona, offrendo a chi ha sbagliato una possibilità di riflettere e cambiare vita, per reinserirsi a pieno titolo nella società. Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, papa Francesco afferma che è determinante per la credibilità della Chiesa che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia e invita a vincere l’indifferenza non distogliendo lo sguardo dal suo prossimo e compiendo atti di coraggio nei confronti delle persone più fragili delle loro società, fra i quali nomina i detenuti. Nelle parole del Papa c’è l’invito urgente ad adottare misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio, avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria.

Da seminarista a Roma ho conosciuto ed aiutato alcuni ragazzi usciti dal carcere minorile, dove erano seguiti dall’allora don Agostino Casaroli e da alcuni miei compagni del collegio Capranica. Da viceparroco sono stato invitato da alcuni familiari di interessarmi della liberazione di alcuni prigionieri politici e di alcuni “desaparecidos” vittime della dittatura militare in Argentina. Grazie alla collaborazione di Caritas Internationalis e di Justitia et Pax riuscii a far rimpatriare in Italia nel 1979 un medico e una ragazza ambedue di Cordoba, che erano stati torturati e detenuti senza processo. Ambedue furono accolti a Grammichele (Catania) e la ragazza fu aiutata a conseguire il diploma di assistente sociale. Purtroppo per altri detenuti non si riuscì ad ottenere la liberazione ma solo risposte evasive da parte del governo argentino.

Ho avuto modo di incontrare molti detenuti ed ex detenuti durante gli undici anni (2002-2013) del mio episcopato a piazza Armerina, diocesi nel cui territorio si trovano tre Case circondariali ad Enna con quattro sezioni, a Piazza Armerina e a Gela. Visitavo diverse volte l’anno i detenuti e mi tenevo informato sulle loro condizioni tramite i cappellani delle carceri. Ho amministrato diversi sacramenti del battesimo, della cresima e della prima comunione. Ricordo che un detenuto, che aveva i parenti fuori dalla Sicilia, chiese un permesso per poter trascorrere una giornata con me. La Caritas diocesana ha messo a disposizione un appartamento per i familiari dei detenuti che venivano da lontano e per ex detenuti stranieri. Sono state organizzate una serie di iniziative di evangelizzazione e di promozione umana per i detenuti con la collaborazione di alcuni movimenti ecclesiali ed associazioni di volontariato.

Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo nelle Carceri ebbe a dire: “Per la realtà carceraria bisogna adoperarsi al fine di creare nuove occasioni di riscatto. Ciò si traduce per ciascuno, entro i limiti della sua competenza, nell’impegno di contribuire alla predisposizione di cammini di redenzione e di crescita personale e comunitaria improntati alla responsabilità. Tutto questo non deve essere considerato utopia”.

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