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I principali dossier sul tavolo del vertice di Granada

Giorgia Meloni in India

Foto © Palazzo Chigi

La città di Granada, nel sud della Spagna, ospiterà per due giorni, il 5 e 6 ottobre, il terzo vertice della Comunità politica europea (Cpe) e il Consiglio Ue informale. Un’occasione per riunire tutti i leader europei, anche quelli dei Paesi non facenti parte dell’Ue – con l’eccezione del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, il quale ha fatto sapere che non parteciperà al vertice -, attorno a un tavolo e dibattere di alcuni dei principali dossier: dai migranti, alla politica di allargamento sino alla riforma del blocco comunitario. Per l’Italia l’appuntamento spagnolo rappresenta un’opportunità significativa, volendo portare avanti la strategia avviata con la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni, ospitata a luglio alla Farnesina e proseguita venerdì scorso a Malta, in occasione del vertice Euro Med 9.

Sul tema dell’immigrazione “mi auguro che non prevalgano gli interessi elettorali nazionali, che poi si ritorcerebbero contro i Paesi che non hanno voluto trovare una sintesi”, sottolinea il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani. L’assenza del leader turco potrebbe essere letta proprio in quella chiave. E questo sarebbe un problema serio per tutti. Dal canto suo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si approccerà alla due giorni iberica con lo stesso spirito mostrato sinora, in particolare in relazione alla questione migratoria. Su questo tema, centrale sarà il colloquio che la premier auspica di riuscire a organizzare con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, sulla vicenda dei finanziamenti tedeschi alle Ong che operano nel Mediterraneo.

La questione resta ampiamente aperta anche perché l’Italia, oltre all’appoggio dei Paesi europei della sponda mediterranea, sembra aver trovato un inatteso appoggio da parte della Francia, emerso soprattutto dopo la drammatica situazione in cui versava l’hotspot di Lampedusa nei giorni scorsi. Il regolamento sulla gestione delle crisi del Patto migrazione e asilo, non a caso, è stato l’argomento al centro del tavolo fra gli ambasciatori della Ue, su cui è stato raggiunto. L’obiettivo era arrivare a un accordo sul provvedimento – l’ultimo del pacchetto su cui il Consiglio non ha ancora adottato la sua posizione negoziale – prima del Consiglio europeo che prende il via oggi. Il nodo da sciogliere era il riferimento al ruolo delle Ong nei salvataggi in mare, richiesto dalla Germania e osteggiato dall’Italia. “Abbiamo visto le dichiarazioni dei vertici dei Paesi del Med 9, abbiamo visto la Francia, con la Germania si era aperta una discussione sul patto di migrazione e asilo perché chiedeva di aggiungere un emendamento che secondo me faceva dei passi indietro sul tema anche delle Ong”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un’intervista a Sky TG24. “L’emendamento è stato ritirato ed è passata la posizione italiana. Si tratta di implementare velocemente gli strumenti effettivi, è poi nella velocità di realizzazione che l’Europa deve essere più brava”, ha aggiunto.

 Nel corso del vertice Euro Med 9 tenutosi venerdì scorso, la premier aveva espresso il suo disappunto per la posizione tedesca in relazione al dossier migratorio emersa con forza al Consiglio Affari interni del 28 settembre quando la Germania ha proposto l’inserimento di un emendamento nel nuovo Patto su migrazione e asilo dell’Ue relativo alla strumentalizzazione del ruolo delle Ong. La Meloni, parlando alla stampa a La Valletta, aveva affermato che, qualora il governo di Berlino decidesse di procedere in tal senso, l’Italia presenterà un altro emendamento che preveda che le Ong operative nel Mediterraneo trasferiscano i migranti nei Paesi di cui le loro navi battono bandiera. Parole nette che rappresentano un chiaro segnale di come l’Italia sul tema non intenda arretrare di un centimetro. Non si può negare, peraltro, che qualche voce di sostegno all’Italia sulla questione delle Ong si sia levata anche in Germania, fra cui spicca certamente quella di Wolfgang Schauble, ex presidente del Bundestag ed esponente di spicco dell’Unione cristiano-democratica (Cdu), il principale partito d’opposizione tedesco.

Quanto alle politiche d’allargamento resta concreto il processo del percorso d’adesione dei Paesi candidati, sia quelli che da tempo hanno avviato il processo – gli Stati dei Balcani occidentali –, sia quelli che lo scorso anno hanno ottenuto tale status, ovvero Ucraina e Moldova. Dopo il Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre, infatti, è attesa la pubblicazione delle relazioni della Commissione europea sui progressi raggiunti dai Paesi candidati. L’Italia ha mostrato ed espresso in più di un’occasione – anche durante i molteplici incontri fra Meloni e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, così come durante il colloquio con la presidente moldava Maia Sandu avvenuto a Bulboaca lo scorso primo giugno – apertura politica e attenzione nei confronti di tutti Paesi candidati. Giusto ieri l’altro, a margine del Consiglio Affari esteri dell’Ue che si è svolto a Kiev, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani è stato ricevuto da Zelensky: il capo della diplomazia italiana ha ricevuto un’onorificenza e incassato il patronato sulla ricostruzione di Odessa, ma anche ribadito al capo dello Stato di Kiev che l’Italia sosterrà la candidatura di adesione all’Ue dell’Ucraina.

Per l’Italia, tuttavia, la priorità sono e restano i Balcani occidentali, il nostro vicinato orientale nei confronti dei quali il governo Meloni ha avviato una nuova strategia volta a rafforzare ulteriormente le relazioni e favorire la stabilizzazione regionale. Anche a poca distanza non mancano le tensioni. Le autorità dell’Azerbaigian hanno respinto l’invito a partecipare a un incontro a Granada, in Spagna, con rappresentanti di Armenia, Ue, Francia e Germania incentrato sulla situazione del Karabakh ei rapporti fra Baku ed Erevan. Per quanto laterale anche questa è una spina nel fianco dell’Europa. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, per contro, vuole sfruttare il vertice della Comunità politica europea e il Consiglio europeo informale per stabilire chiaramente un legame tra l’allargamento e la riforma dell’Ue, in modo da non ritrovarsi con un’Unione di fatto ingovernabile con 35 Paesi tutti in grado di porre il veto e bloccare la legiferazione comunitaria. In attesa che in autunno la Commissione europea presenti la sua relazione sui progressi compiuti dall’Ucraina e che a dicembre i leader dell’Ue decidano se avviare i negoziati di adesione con Kiev, la due giorni di Granada sarà un’occasione per i leader europei per “contarsi”.

Enrico Paoli: