In preghiera a San Pietro mentre i venti di guerra sferzano il pianeta. “Le notizie che giungono dall’Ucraina sono molto preoccupanti. Affido alla coscienza dei responsabili politici ogni sforzo per la pace”, ha detto ieri il Papa all’Angelus. Francesco ha invitato a pregare in silenzio con lui per la pace. A 60 anni dalla crisi missilistica di Cuba il mondo è nuovamente sull’orlo di una catastrofe nucleare. Il presidente Joe Biden ha minacciato una risposta Usa in caso di invasione russa. li Stati Uniti reagiranno “in modo rapido e deciso a ogni ulteriore aggressione della Russia contro l’Ucraina”. Giovanni XXIII contribuì a scongiurare il disastro nucleare nel 1962. Sulle orme di San Francesco che nel 1219 incontrò il sultano per arrivare alla pace. Con lo stesso spirito tre anni fa Jorge Mario Bergoglio ha baciato i piedi dei leader del Sud Sudan per fermare la guerra in quel martoriato angolo d’Africa.La geopolitica della preghiera. La diplomazia ai piedi della croce. Per sua natura e missione la Chiesa è “lumen”, luce. Perché sul suo volto si riflette la luce di Cristo, che è Lumen Gentium (LG 1). Questa luce però può essere intesa in due modi differenti ma che non si escludono. Innanzitutto come “faro”, la cui caratteristica è quella di dare luce. Ma di essere fermo, poggiato su solido fondamento. Può, però, essere intesa anche come “fiaccola”. La Chiesa ridona fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger sono stati gli ultimi papi europei, cioè immersi sino in fondo nella storia del loro continente. Il primo ha avuto il grande merito di assumere il tema della libertà e della liberazione dei popoli dalla schiavitù del comunismo. Ma entrambi non hanno potuto arrestare la deriva individualista e liberista del modello di sviluppo. Ratzinger più di Wojtyla ha capito la crisi del modello capitalista e, dunque, dell’occidente. E la necessità di separare i destini della Chiesa da quel modello di sviluppo. Lasciando e, in un certo senso preparando, la missione del suo successore. Di qui la necessità di pensare un nuovo modello di rapporto della Chiesa con il potere.
Tutto il magistero di Francesco è fatto di profezia e non di soluzioni tecniche. Come se dicesse: io ti faccio vedere ciò che tu non sei più in grado di vedere a causa delle cataratte storiche o ideologiche che ti riducono la vista. Gli uomini-scarto, l’umanità e la fratellanza dei migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita soprattutto dei popoli più poveri, ecco io ti tolgo le cataratte che ti impediscono ti impediscono di vedere. Ma la soluzione tecnica a questi drammatici problemi la devi trovare tu, è responsabilità politica tua. Io non voglio invadere il terreno della tua autonomia e della tua competenza di laico e soprattutto di laico impegnato in politica (LG 31).
In questo senso, Francesco riconosce che ai laici è affidata la responsabilità di contemporaneizzare il messaggio cristiano e, quindi, il dovere di coltivare una particolare intelligenza della storia e della modernità. Utilizzando tutti gli strumenti che la ricerca tecnologica consente. Restando padroni di sé, della propria vita e della propria libertà. Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace il Pontefice la definisce “dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso”. C’è infatti una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società. E c’è un “artigianato” della pace “che coinvolge ognuno di noi in prima persona”. E per favorire questo “artigianato della pace” indica tre vie. Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro.