Affrontiamo tutti la stessa tempesta, ma non siamo tutti sulla stessa barca. L’emergenza Covid accresce certamente le disuguaglianze sociali. Se mi è permesso, svilupperei un po’ la metafora della barca accennata da Papa Francesco. Tutti siamo nella tempesta, ma alcuni hanno a disposizione una semplice zattera, altri un gommone, altri uno yacht e altri ancora sono al sicuro su una nave. La pandemia acuisce le differenze, ma prima ancora le svela: non è che prima (e dopo) le cose siano migliori. Se pensiamo solo alle oltre 800 milioni di persone affamate e al miliardo di persone assetate, ai malati, alle nazioni afflitte dalla violenza e dalla miseria materiale e spirituale.
Davvero risuonano severe le parole del giudizio, anticipate da Gesù: “Ero affamato, assetato, nudo, prigioniero, straniero, malato: mi hai assistito?”. Io non sono in “prima linea” nella seconda ondata della pandemia, ma sono continuamente in contatto con persone che lo sono. Credo che le difficoltà siano le stesse della prima ondata, aggravate però da una certa demoralizzazione. Allora era tutto nuovo, si procedeva tra incredulità e speranza, con una generale disciplina. Ora molte persone sono scoraggiate e qua e là vengono organizzate anche delle rivolte. Si potrebbe dire che alle povertà già emerse in primavera, se ne aggiunge una nuova. Però sono convinto che riusciremo, tutti insieme, ad affrontare anche questa fase: non con lo slogan “andrà tutto bene”, che è superficiale e contrario alla realtà, ma con lo slogan evangelico “l’avete fatto a me”.
Solo la condivisione salva. Nell’emergenza sanitaria si diventa più egoisti o più solidali. Alcuni diventano più egoisti, altri più solidali. Papa Francesco ha detto più volte che da una crisi come questa non si esce uguali a primi: o si esce migliori o si esce peggiori. Segnali di solidarietà ce ne sono parecchi: dedizione, generosità, preghiera, fantasia e creatività messe anche a servizio della pastorale e della custodia del prossimo. Ci sono anche segnali di egoismo: ripiegamento sulla propria condizione, chiusure e accuse.
Penso che, come sempre, il male faccia più confusione del bene, ma sia in realtà meno radicato: la speranza cristiana è proprio questa, che l’amore che viene dall’alto si innesti nel cuore di tante persone, anche al di fuori delle esplicita appartenenza cristiana. Anche in questo caso si possono contrapporre due slogan: “Nessuno si salva da solo” è il contrario al “si salvi chi può”. Sono innumerevoli e gravissimi i disagi che stanno affrontando le fasce più indigenti della società. Indicarli sarebbe un elenco lungo, quindi faccio una scelta. Prima di tutto si vedono molto bene i disagi materiali: aumentano i poveri, i disoccupati, i disadattati. Poi vi sono le povertà morali e affettive: penso a chi è stato colpito dal virus, a chi ha vissuto il lutto, a chi è frastornato dalla paura e dall’angoscia, a chi non può incontrare i propri genitori anziani o i propri nonni; ma anche ai bambini, ragazzi e adolescenti che non riescono a rimanere al passo con la scuola, che devono rinunciare allo sport e agli incontri con gli amici, che sono svantaggiati a motivo della disabilità e della povertà. Infine le povertà spirituali: accanto a persone che hanno riscoperto la preghiera, ve ne sono altre che sono entrate in crisi di fede; questa sarebbe un’opportunità per rievangelizzare, se la sapessimo cogliere.
Monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e Carpi e presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi