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Ponzio Pilato vive a Bruxelles

Ola, un bambino di 11 anni ha visto i suoi genitori uccisi in Libia… è in stato confusionale e molto provato. È ricoverato e in attesa di essere accolto in una nostra casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII: ora questo bambino non ha più nessuno… soltanto noi. Sarebbe un segnale importante se qualche istituzione nazionale venisse a visitarlo. E mentre prego per questo bambino e i tanti come lui così ingiustamente tormentati da un dolore inimmaginabile penso a quella parola della Sacra Scrittura che dice: “Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: 'Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!'” (Mt 27, 24). Lo spirito del governatore romano della Giudea, passato alla storia per aver preteso di sottrarsi alle responsabilità che la sua stessa carica gli imponeva, ha attraversato i secoli e  appare più che mai trionfante proprio ai giorni nostri nei palazzi di Bruxelles. Il modo in cui l'Unione Europea continua infatti a lasciare da sola l'Italia nella crisi dei migranti – riesplosa proprio in questi giorni in tutta la sua drammatica gravità – ne è forse la testimonianza più eloquente.

C’è innanzitutto una dimensione “emergenziale” in cui questa pilatesca latitanza da parte di Bruxelles ad assumersi le proprie responsabilità, abbandonando il nostro Paese a farsi carico di tutto, rifulge con triste evidenza. È l’atteggiamento di chi, di fronte all’arrivo improvviso di navi cariche di disperati, fa semplicemente orecchie da mercante nella pretesa che soltanto altri possano farsi carico del problema. La disponibilità della Spagna, che ha deciso di far attraccare la nave Aquarius dopo il rifiuto di Roma, potrebbe essere forse l’inizio di una felice inversione di tendenza (qualora le condizioni lo permettano), a patto però che esso costituisca un esempio anche per altri Paesi dell’Unione a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo.

Se è vero infatti che ogni disperato che chiede soccorso ha diritto a essere salvato, sempre e in ogni modo, è altrettanto vero che tutti i Paesi – soprattutto quelli rivieraschi – hanno il dovere di rispondere all’appello.  Per ogni mano che chiede aiuto, ce n’è un’altra che deve tendersi; e se le mani aperte si moltiplicano, debbono moltiplicarsi allora anche quelle pronte a stringerle. “Perché io ero straniero e mi avete ospitato” (Mt, 25,35). C’è sicuramente una sinistra e profonda simmetria tra l’Unione Europea che ha rigettato le radici cristiane nella propria Costituzione e quella stessa Unione che rifiuta di tendere e stringere questa mano agli ultimi della Terra.

Allo stesso tempo, la questione migratoria non può essere affrontata, né tantomeno risolta, esclusivamente sotto il profilo dell’emergenza. C’è una dinamica più strutturale, che riguarda il cuore stesso del problema, e che deve essere necessariamente una responsabilità condivisa. È l’oneroso ma insieme onorevole compito di stabilizzare e mettere in sicurezza le aree geopolitiche in cui si addensano le crisi, da dove partono le navi cariche di profughi innocenti dove si scaricano le frustate crudeli dei trafficanti di uomini e quelle, non meno dolorose e violente, dell’indifferenza europea. Ed è impressionante come nessuno osi scoprire l’ipocrisia di certi Paesi che di fatto guadagnano in vario modo su questi disperati incominciando da bambini innocenti come Ola.

L’Europa si è resa protagonista di una destabilizzazione generalizzata, soprattutto in Nordafrica, che ha i suoi effetti proprio nel flusso apparentemente ingovernabile di esseri umani. Con un programma d’azione condiviso e realmente messo in pratica, gli Europei tutti avrebbero adesso l’occasione di riscattarsi e dar prova di autentica civiltà, consentendo a diverse nazioni di prosperare autonomamente sul lungo periodo. Particolarmente sensibile a questo richiamo dovrebbe essere in special modo la Francia, che ha avuto un ruolo non trascurabile nei disordini geopolitici di cui vediamo oggi gli effetti. Ma per quanto tempo ancora pensano di poter fingere di avere le mani pulite dinanzi a tutti i morti sepolti nel mare? Ma questi governanti che coscienze hanno dinanzi a certe stragi programmate solo dai turpi interessi del profitto?

Tra i Paesi più a rischio c’è infatti la Libia, da anni considerata un “failed state”  diviso fra due semi-governi che si disconoscono tra Cirenaica e Tripolitania e una miriade di tribù nel Sud del Paese. Finora l’Italia non soltanto ha dato prova di grande disponibilità sul fronte dell’accoglienza ma ha cercato anche di lavorare – spesso ostacolata da altri – per risolvere il problema alla radice contribuendo a riportare ordine, pace e un po’ di sviluppo. Cosa si può fare oggi di concreto? Oltre alla riapertura dei canali diplomatici – come Roma ha già fatto da tempo riaprendo la propria ambasciata – sarà essenziale ripristinare i precedenti accordi commerciali, anche con la compensazione di crediti, per favorire la ripresa dell’economia locale.

La messa in sicurezza di porti e aeroporti, attraverso una strategia concordata con le autorità del posto anche per regolarizzare il mercato del petrolio, è un’altra delle priorità che andrebbe nell’interesse delle due sponde del Mediterraneo. Come emerso da diverse inchieste, il riciclaggio di gasolio libico finirebbe infatti sul mercato italiano attraverso mafia e camorra, capaci di eludere il versamento di accise che arrecano così danno allo stesso erario dello Stato italiano. E c’è poco da meravigliarsi: l’ingiustizia e il disprezzo per la dignità umana sono sempre i germogli avvelenati da cui fiorisce il crimine organizzato con i suoi illeciti anche di natura solo economica.

Un certo assistenzialismo europeo, con i soldi immessi per la gestione dell’accoglienza che spesso vengono utilizzati invece da chi fa affari sulla pelle dei profughi, appare troppo spesso come una mancia data all’Italia da parte di chi preferisce girarsi a favorire certe organizzazioni.  L’isolamento italiano sulla questione migranti in Europa è insomma speculare all’indifferenza nei confronti dei migranti: si lascia solo il governo italiano esattamente come si lasciano al loro destino i profughi e i diseredati. Sì, lo stile di Ponzio Pilato vive a Bruxelles, e ci auspichiamo che possa presto lasciare spazio al solo europeismo possibile: quello umanistico, laico e cristiano, in cui l'assunzione di responsabilità, la solidarietà e il rispetto delle leggi sono inseparabili. L'Europa di San Benedetto e di Erasmo, del coraggio dei santi e dei martiri di cui abbiamo disperato bisogno.

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don Aldo Buonaiuto
don Aldo Buonaiuto
Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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