La mitologia racconta di un tale Procuste (o Damaste) che torturava i suoi ospiti ponendoli dentro un’incudine forgiata a letto: se troppo alti e lunghi, li “accorciava” con mutilazioni varie, se troppo corti e piccoli li “allungava” con diverse torture. Poi venne Teseo, che pose fine allo scempio, uccidendolo. Viene da qui la nota allocuzione “letto di procuste”, ad indicare il concetto dell’imposizione violenta di una “misura” unica cui si deve adeguarsi.
Questa breve digressione mitologica può essere utile per capire, con un passaggio molto chiaro e semplice, che cosa possiamo intendere con la sigla, oggi terribilmente di moda, di “politicamente corretto”. Cioè, il tentativo di ridurre il pensiero (e le persone) ad un solo modello culturale e di azione preconfezionato, pena essere estromessi ed emarginati dal consesso socioculturale – politico. E’ una sorta di “dittatura”, più o meno nascosta, che parte da una matrice relativista ed approda ad una istanza totalitarista.
Parte, cioè, dalla negazione dell’esistenza di una verità oggettiva e conoscibile da parte di chiunque, indiscutibile in quanto naturalmente ed oggettivamente presente, ma travalica poi ogni limite, contraddicendo il relativismo stesso, in quanto dichiara ed impone delle affermazioni assiomatiche che negano di fatto ogni libertà di scelta. O meglio, si può teoricamente dissentire, essendo consapevoli però che il prezzo da pagare sarà alto. Si va dall’emarginazione informativo-mediatica, all’ incasellamento di categorie sociali spregevoli e negative così da evocare lo stigma sociale, fino al ricorso al codice penale. Ora, proviamo a coniugare nel concreto queste affermazioni di principio.
Gli esempi, purtroppo, si sprecano e possiamo limitarci ad un paio, riferendoci a fatti di cronaca. Chi oggi osa dire che i “generi” sono due, maschio e femmina, ha imboccato la strada del politicamente scorretto, perché il pensiero unico – che tanto spesso si avvale di argomentazioni pseudoscientifiche che con la “scienza” non hanno proprio nulla a che fare – ha deciso che i generi sono multipli e continuamente variabili ed implementabili. Chi sostiene il contrario va iscritto in apposite liste di proscrizione: omofobo, intollerante, fascista, medioevale, istigatore d’odio.
Quest’operazione – eminentemente mediatico-divulgativa – porta a spostare l’attenzione delle persone dal vero oggetto del contendere (che cos’è l’identità sessuata che definisce i generi) alla categorizzazione culturale arbitrariamente imposta. Si crea così un corto circuito: chi dovesse sostenere la famiglia naturale – mamma, papà, figli – è automaticamente un reazionario fascista e, come tale, estromesso dalla comunità culturale e sociale che il “politicamente corretto” ha costruito.
Sempre per restare nel pratico, che cos’è il ddl Zan se non il tentativo di imporre l’identità di genere come nuova ed indiscutibile verità naturale, con il ricorso anche al codice penale? Facciamo un altro esempio: l’aborto. Il politicamente corretto impone che è reazionario e fascista parlare della morte provocata di un bimbo innocente in utero. Chi lo fa è un violento maschilista, un terrorista, che nega il diritto alla “salute della donna” e al suo ingovernabile diritto di autodeterminazione. Il fatto di uccidere un bimbo è al massimo un effetto collaterale di poco conto se paragonato alla libera scelta.
Non importa poi se le donne stanno male, esiste la sindrome post-abortiva, sono lasciate sole in un momento terribilmente doloroso e difficile, non vengono aiutate a fare la più naturale delle scelte di una madre, cioè avere il suo bimbo in braccio. Chi osa dire che una società civile degna di questo nome deve fornire misure economico-sociali per prevenire una scelta abortiva, fa scattare il “politicamente corretto”: reazionario, fascista, sovranista, fino all’invocazione “appendiamolo” per ripulire la società da pericolosi istigatori d’odio.
Per inciso: il politicamente corretto sta pervertendo (o ci prova) le nostre stesse categorie mentali. Quindi, odio non è invocare la morte per un avversario culturale; odio è sostenere che si deve aiutare la vita, del bimbo e della sua mamma! Viene in mente il salmo 10: “.. i malvagi tendono l’arco, aggiustano la freccia sulla corda per colpire i retti di cuore. Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?”.
Serve un antidoto e, così, vengono in nostro soccorso e ci danno un grande sostegno le parole di S. Giovanni Paolo II, quando afferma: “Si profila oggi il rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva del riconoscimento della verità … Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo, aperto o subdolo” (Varitatis Splendor, 101) e di Papa Francesco: i cristiani non devono usare un “linguaggio socialmente educato”, incline “all’ipocrisia”, ma farsi portavoce della “verità della Vangelo … l’ipocrisia non è un linguaggio di verità”.
Con il “linguaggio persuasivo”, ha detto il Papa “cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nella loro menzogna, nella loro bugia” (Domus Santa Marta, 4 giugno 2013). Non si può proprio negare che le cose stiano così: il politicamente corretto dei nostri giorni è spesso un linguaggio di corruzione ed ipocrisia. Che cosa c’è di più ipocrita di affermare la tutela della maternità e il rispetto della vita (legge 194) e poi dichiarare il diritto di uccidere il bimbo. Oggi anche con quell’ignominia che si chiama RU 486 a domicilio. Arrendiamoci? Mai, perché il Battesimo ci chiede e ci dà la forza per essere “sacerdoti, re e profeti”, non conformandoci alla mentalità del mondo che oggi si traveste di “politicamente corretto”.