Mutuando il titolo di un celebre romanzo, viene spontaneo chiedersi a che punto è il Pnrr? Quell’oggetto tanto evocato quanto poco conosciuto realmente. Trattasi, a beneficio dei distratti cronici, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) inserito all’interno del programma Next Generation della Eu, ovvero il pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica. Insomma, soldi a chi ne ha bisogno, ma solo sulla base di progetti chiari e realizzabili.
Il Piano di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia, prevede investimenti e un coerente pacchetto di riforme, a cui sono allocate risorse per 191,5 miliardi di euro finanziate attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e per 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare istituito con il Decreto Legge n.59 del 6 maggio 2021 a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile. Il totale dei fondi previsti ammonta a di 222,1 miliardi. Sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche e per il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. Nel complesso si potrà quindi disporre di circa 248 miliardi di euro. A tali risorse, si aggiungono quelle rese disponibili dal programma REACT-EU che, come previsto dalla normativa Eu, vengono spese negli anni 2021-2023. Si tratta di fondi per ulteriori 13 miliardi. Dunque l’Italia a che punto è?
“A pochi mesi dall’approvazione del Piano da parte della Commissione Europea, siamo pienamente nella sua fase di attuazione“, ha spiegato nei giorni scorsi il premier, Mario Draghi, parlando all’assemblea dei sindaci d’Italia. “Nelle prossime settimane il governo ha in programma una serie di incontri in molte città italiane per confrontarci sulla sua realizzazione. Abbiamo già approvato 159 progetti di rigenerazione urbana su cui investiamo 2,8 miliardi”. Quindi i nodi da sciogliere sono i piani dei Comuni, il rapporto con i sindaci e la loro funzione per l’attuazione del piano. Il che non affatto una cosa da poco. Perché se da una parte c’è il Nord del Paese, dall’altra c’è un Sud che richiama l’attenzione su di se, chiedendo fondi maggiori, ma senza presentare piani articolati e concreti. “Oggi abbiamo una grande occasione, quella del piano nazionale di resilienza. Il nostro Paese ha resistito e ha iniziato a correre, ora dobbiamo il ritmo senza fermarci, proprio come fatto voi”, afferma il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, all’assemblea annuale degli industriali di Parma, “un territorio d’Italia che è operoso ed è d’esempio a tutto il Paese, un tessuto produttivo che è il fiore all’occhiello dell’industria italiana”. E Parma, nel contesto italiano, è il paradigma del Nord Italia. “Nel Pnrr, con una norma inserita nella legge di conversione del decreto Semplificazioni, si stabilisce che al Sud venga destinato il 40% delle risorse, il che ammonterebbe a circa 82 miliardi sui 206 ripartibili secondo il criterio del territorio” rileva uno studio effettuato dalla Cisl, “sulla base di alcune analisi economiche le misure contenenti una esplicita destinazione alle regioni del Sud del Paese ammonterebbero in realtà a 22 miliardi circa. Le medesime analisi prevedrebbero, in aggiunta per le aree meridionali, altri 13 miliardi; in totale, quindi, sarebbero disponibili 35 miliardi”.
Ma il focus del sindacato dice anche altro. “La nostra opinione, in parte anche una preoccupazione, è se il Sud sarà in grado di mettere a terra un’adeguata capacità di spesa e di realizzazione delle opere. È da tenere in conto la carenza di dipendenti pubblici in rapporto con gli abitanti, di personale tecnico e specializzato in progettazione, specie considerando che secondo la disamina della Banca d’Italia la realizzazione delle opere nel Mezzogiorno avviene mediamente con un ritardo di circa un anno rispetto al Centro-Nord. Le regioni meridionali fanno registrare tassi più elevati di inutilizzo dei fondi europei assegnati e di opere incompiute”.
Ecco, di questa doppia velocità, ma se vogliamo anche tripla considerando altre realtà, il governo non potrà non tener conto. Draghi, soprattutto ora, dovrà prendere per mano sindaci e governatori di Regione e portarli verso un punto comune di congiunzione. Esercizio arduo, ma non impossibile. Perché se Palazzo Chigi i compiti a casa li ha fatti, relativamente al Pnrr, il risultato non può essere vanificato dall’incapacità di alcuni sindaci e dall’atavico procedere in dissolvenza di un pezzo del Paese. Mai come ora il treno deve essere con i vagoni agganciati.
“L’impegno preso in Next Generation Eu non riguarda solo gli investimenti ma anche le riforme: le due cose possono e devono andare insieme, per tempistica e cambiare il Paese in profondità. Non vogliamo fare solo recovery ma trasformare il Paese anche per rendere più resiliente“, afferma il ministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, Enrico Giovannini. Ed è esattamente quello che ci aspettiamo dal governo.
E, comunque, vada a finire diamo atto al capo dello Stato, Sergio Mattarella, di un fatto: “Non so se è stato fatto in qualche Ateneo ma, se così non fosse, sarebbe utile uno studio per approfondire le conseguenze dell’uso smisurato degli acronimi sul linguaggio e sulla facilità di comunicazione“. Chiaro il riferimento al Pnrr. Il presidente della Repubblica, poi, ha sottolineato di registrare positivamente “alcuni segni che emergono nel programma dove vi sono sei grandi missioni: il digitale, la transizione ecologica, la mobilita sostenibile, gli aspetti sociali del lavoro e la sanità. Una riguarda l’università e la scuola con l’obiettivo di accrescere l’offerta, di farne aumentare la qualità, di ampliarla anche con risorse rilevanti. Perché è indispensabile il ruolo delle università per far crescere nel nostro Paese il livello culturale e il numero dei laureati”. La speranza, ovviamente, è che ciò avvenga realmente. In tutto il Paese.