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10 anni fa Pietro in Laterano: “La fede non va presupposta ma proposta”

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13 giugno 2011. Decennale del convegno ecclesiale della diocesi di Roma. Sono trascorsi esattamente dieci anni dallo storico discorso di Benedetto XVI. Nella basilica di San Giovanni in Laterano. Joseph Ratzinger citò una lettera ricevuta dal grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar. “La fede non deve essere presupposta. Ma proposta”, evidenziò Benedetto XVI. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo. Non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo. Ma deve essere sempre annunciata. L’annuncio della fede, per essere efficace, deve partire da un cuore che crede. Gli uomini, invece, dimenticano Dio. Anche perché si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente. E ne viene affievolita, se non negata, la divinità. “Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del cristianesimo– osservò Benedetto XVI-. Perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre. Allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo. Abbiamo solo idee umane di Dio. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo”. Quindi la ragione priva della fede rischia di implodere. Una tematica cara a Benedetto XVI, che già occupava un posto importante nell’enciclica “Fides et ratio” (1998) di Giovanni Paolo II. Alla quale l’allora cardinale Joseph Ratzinger diede il suo contributo fondamentale. La ferrea volontà di trasmettere la tradizione apostolica ha sempre esposto Joseph Ratzinger alle polarizzazioni ideologiche delle opposte correnti. Da un lato i puristi della fede contrari a qualunque apertura alla modernità. E dall’altro i fautori di un continuo aggiornamento di forme e contenuti dell’appartenenza religiosa. L’inflessibile fedeltà alla dottrina che lungo quattro decenni trasformò Joseph Ratzinger nell’emblema dell’ortodossia cattolica è stato motivo di incomprensioni e opposte forzature nella pubblicistica e sui mass media. Sotto il fuoco incrociato delle critiche finirono persino i sontuosi paramenti liturgici indossati nelle celebrazioni. O la scelta di presentarsi pubblicamente ai fedeli sempre abbigliato in modo solenne. Con uno stile e un atteggiamento umile ma rigoroso e sacrale.Nella Roma antica la moglie di Cesare non era tenuta solo a essere seria. Ma anche ad apparire tale. Secondo Joseph Ratzinger il Papa non deve solo essere Papa. Ma anche mostrarsi Papa nel contegno. E nel rigore del suo proporsi nelle sembianze esteriori. Come fossero il riflesso di un imperturbabile ordine spirituale, interiore. Un modo di rapportarsi al mondo circostante solidamente ancorato alla tradizione. E a una sobria e distaccata alterità. Rispetto alle mutevoli e fugaci sensibilità estetiche della contemporaneità. In linea con una ricercatezza formale che non disdegnava capi di
abbigliamento e accessori desueti. Bollati come eccessivamente leziosi e antimoderni. Per esempio i pastorali ottocenteschi e le scarpe rosse. Mai nessuna concessione a sciatterie demagogiche. Pose terzomondiste. Ostentazioni di trascuratezza pauperista. Fin dall’attenzione al look, quindi, un Papa difensore delle verità di fede e attento a esprimere anche nell’abito il senso della propria missione. E il prestigio di una storia bimillenaria.Custode della dottrina, insomma. Il “depositum fidei” è l’espressione del linguaggio teologico. Ripresa da alcuni passi delle lettere di San Paolo a Timoteo. Con cui viene indicato il contenuto integrale della fede cristiana. Che da Cristo e dagli apostoli è stato affidato al magistero ecclesiastico. Per essere custodito. Sviluppato. E, nella sua inalterata purezza, trasmesso. Di generazione in generazione. L’intera vita di Joseph Ratzinger ha come obiettivo la salvaguardia del “depositum fidei”. E cioè delle verità di fede. Migliaia di testi scritti e di discorsi pronunciati in pubblico. Per offrire in qualunque circostanza e contesto la limpida testimonianza di una ferrea volontà di difesa della retta dottrina. Nell’omelia tracciò un programma di azione pastorale per il cattolicesimo mondiale. Fissando le tappe dell’azione evangelizzatrice. E parlando da difensore dei dogmi. E regista di una predicazione planetaria. Insomma, parlò da catechista del mondo. Da maestro di dottrina con una visione. E una determinazione a chiarire ciò che è decisivo. Per consentire l’annuncio efficace e coerente del Vangelo.

San Benedetto da Norcia

“La Chiesa, nel corso del suo anno liturgico, ripercorre l’intera storia della salvezza– disse Joseph Ratzinger-. Per molte settimane si presenta a noi con l’atteggiamento di Osea o di Elia. E cioè ammonendoci. Scuotendoci. Esortandoci. Volendo strapparci dal nostro egoismo, dalla nostra avidità, dal nostro autocompiacimento. Ma con l’Avvento giunge l’ora del Dio buono, del Dio che consola“. Diviene evidente che la Chiesa non è solo un’agenzia morale. Un’organizzazione umanitaria. La Chiesa non esige solo il rispetto di vari precetti. Indica bisogni e pone richieste. E’ lo “spazio della grazia”. In cui Dio va incontro soprattutto “come colui che dona e che dà”. Secondo Joseph Ratzinger, “Dio non ci ha tolto la nostra umanità. Ma la condivide con noi. Egli è entrato nella solitudine dell’amore distrutto. Come uno che condivide il dolore. Come consolazione. Questo è il modo divino della redenzione“. Quindi, precisa Benedetto XVI, “possiamo capire cosa significhi cristianamente redenzione”. Non è una “trasformazione magica del mondo”. E “non ci viene tolta la nostra umanità“. A consolare, chiarisce Joseph Ratzinger, è la consapevolezza che “Dio condivide con noi il peso della vita”. E che “ormai la luce del suo condividere l’amore e il dolore sta per sempre in mezzo a noi”. Parole di cristallina teologia.

Giacomo Galeazzi: