Tanto tuonò a Roma che alla fine piovve! L’annosa questione del termovalorizzatore della Capitale ormai va verso la soluzione, nonostante sotto i ponti del Tevere sia passata molta acqua dal momento giusto di costruirlo. Ci sono voluti i poteri commissariali straordinari concessi dal precedente Governo Draghi al sindaco capitolino, Roberto Gualtieri, e la successiva approvazione della pianificazione comunale relativa alla gestione dei rifiuti, per dare a Roma finalmente il progetto per il termovalorizzatore presentato da una cordata guidata dalla multiutility Acea (controllata al 51% dal Comune di Roma).
L’impianto sarà realizzato a Santa Palomba (a sud di Roma), accenderà per la prima volta le sue caldaie a partire dall’estate 2026 e avrà la capacità di trattare fino a 600.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati, al fine di trasformarli in energia elettrica per il territorio. L’iter finale non sarà facile da gestire, a causa di alcuni ostacoli da superare: le barricate del M5S, di Legambiente, del WWF, dei comitati locali, dei comuni dell’hinterland romano e di una parte importante del sindacato e della sinistra. Una fronda vetero ecologista che, avendo già ricevuto nei mesi scorsi una batosta da parte del Tar del Lazio sui vari ricorsi presentati, non rinuncia alla sua battaglia contro il piano rifiuti di Roma e il progetto di realizzazione dello stesso termovalorizzatore per ricorrere anche dinanzi al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi nelle prossime settimane.
Non è la prima volta che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio è chiamato a fare da arbitro tra le posizioni del fronte del “no” e quelle a sostegno della realizzazione di impianti di recupero energetico dei rifiuti. Infatti, quest’ultimo organo si è pronunciato già a favore di queste tecnologie pulite, sostenibili e “circolari”, in più di un’occasione. Ma gli egoismi localistici e i pregiudizi di un certo ambientalismo ideologico e catastrofista esistono solamente in Italia? La risposta non può che essere affermativa. Nel nostro Paese, l’ecologismo è rimasto una nicchia piena di “no” e vuota di voti che pensa di salvare l’ambiente imponendo la gestione dei rifiuti alle fatiche degli altri.
In Europa, al contrario, l’ambientalismo è pragmatico e di buon senso, e accetta ben volentieri e senza ricatti la realizzazione di infrastrutture sostenibili e indispensabili per lo sviluppo economico e sociale del territorio, compresi i termovalorizzatori. In particolare, i partiti verdi europei (ben organizzati e rappresentativi nei rispettivi parlamenti e governi) hanno saputo adottare politiche ambientali finalizzate al rispetto dei princìpi di economia circolare e al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, prevedendo anche un approccio flessibile alle diverse tecnologie legate alla gestione dei rifiuti. In Germania, dove i Grunen sono il terzo partito più votato, i termovalorizzatori sono 96, quasi il triplo di quelli attivi in Italia.
Stessa musica in Austria, dove i Verdi hanno preso il 14 per cento dei voti alle elezioni del 2022 e sono partner della coalizione di governo. Nel paese, i termovalorizzatori sono undici e alcuni di questi sono diventati addirittura attrazioni turistiche. In Svezia, i termovalorizzatori sono 37, come in Italia ma con un sesto dei rifiuti, e il Partito verde ha una discreta rappresentanza politica. Insomma, in molti dei Paesi in cui ci sono più termovalorizzatori, i partiti ecologisti sono forze “responsabili” di governo che affrontano in maniera fattuale e non ideologica i problemi ambientali. A partire dai rifiuti.
Mettersi in testa (come avviene dalle nostre parti) che la prevenzione sia l’unica strada da percorrere è pura illusione: i rifiuti continueranno a prodursi e a smaltirsi secondo una logica tracciata dalla gerarchia degli stessi. I termovalorizzatori, dal canto loro, hanno invece il compito di evitare che i rifiuti indifferenziati (difficilmente riciclabili) vadano tutti direttamente in discarica e che possano, anzi, essere trattati per creare energia elettrica per il territorio. E lo fanno in modo molto meno inquinante di un tempo in quanto la tecnologia (e le sue innovazioni) ha creato filtri atti ad abbattere le emissioni atmosferiche, rispettando pienamente i limiti imposti dalle leggi.
Al contrario, i rifiuti che finiscono nelle discariche impattano negativamente sull’ambiente e sulla salute pubblica: rilasciano nell’aria maggiori quantità di metano, biossido di zolfo e altri gas altamente nocivi e inquinano i terreni e le falde acquifere con mercurio, piombo, nichel e altri metalli e composti. Tutto questo è stato ben compreso fuori dall’Italia, dove le comunità locali accettano i nostri rifiuti per valorizzarli energeticamente (non buttando nulla in discarica) e vivono in un contesto socioeconomico sostenibile e “intelligente”. L’ambientalismo all’italiana è una malattia che ci trasciniamo dietro da molto tempo e che non riusciamo a curare, a meno che non rinasca una consapevole azione popolare che intenda con generosità orientare la opinione pubblica atta a garantire responsabilità e concretezza.