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Perché la mafia teme la Chiesa

I mafiosi si fanno una religione per conto loro. Spesso la scomunica non tocca tanto loro quanto i loro parenti. Per esempio sappiamo che il boss Matteo Messina Denaro è indifferente alle problematiche religiose e non è interessato alla scomunica, mentre ne sono toccati i suoi parenti, soprattutto per quello che riguarda il rifiuto dei funerali in chiesa in quanto pubblici peccatori e il divieto di fare da padrino a battesimi e cresime o di entrare in confraternite religiose.

Don Pino Puglisi scrisse: “E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”. Sulla figura di don Puglisi è utile leggere il romanzo “Ciò che inferno non è” di Alessandro D’Avenia. Il suo martirio è stato in quanto prete, questo è stato determinante per riprendere la causa di beatificazione che rischiava di arenarsi.

Mi pare interessante quello che scrisse Gianni Baget Bozzo: “Don Puglisi non è stato ucciso per ammonimento o per rappresentanza, è stato ucciso perché era lui, e per quel che faceva. E’ stato ucciso perché prete cattolico, perché sacerdote di Cristo. E in questa morte noi leggiamo la morte di un prete per il suo ministero”. Quindi mi pare che la testimonianza di don Puglisi, il suo coraggio, sia una testimonianza profetica, perché indica alla Chiesa, e quando parlo di Chiesa non mi riferisco soltanto ai sacerdoti ma ad ogni cristiano, una via, la via evangelica di testimoniare Cristo, di seguire Cristo, che comporta anche il rifiuto del male e quindi il rifiuto della mafia, come una forma pratica di ateismo.

Don Pino Puglisi diceva “noi abbiamo un Padre Nostro”, per questo ha intestato il suo centro al Padre Nostro, “non abbiamo bisogno di padrini”. Dire questo in quell’ambiente significava in qualche modo delegittimare i fratelli Graviano, delegittimare la mafia. E’ interessante come nel verbale degli interrogatori dei suoi uccisori risulti come, colpendo don Pino, si volesse colpire la Chiesa. Si voleva colpire un prete scomodo, che invece di limitarsi soltanto a fare le processioni, magari facendole gestire al comitato di certi mafioso, invece educava alla fede, educava al Vangelo.

Ad un certo punto un mafioso dice “questo prete predicava tutta ‘a iurnata’”, cioè tutto il giorno. Questo dava fastidio. E poi mi sembra interessante in questo libro, il fatto che si insista sul perdono. Perché don Pino voleva parlare con i mafiosi, voleva che si confrontassero con lui. Don Pino, un momento prima che venisse ucciso, ha detto “me l’aspettavo” ed è morto con il sorriso sulle labbra, un sorriso che significa perdono ma significa anche speranza, significa che il cristiano, il prete che crede che l’amore di Dio è più forte della morte, sa che alla fine l’amore di Dio è vincitore.

Possiamo ripetere per don Pino: “Se il granello di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto”. La sua beatificazione, ci indica veramente don Pino Puglisi come un profeta. Quindi noi lo possiamo annoverare tra i profeti. Questa sua morte così tragica, così dolorosa, è un seme insuperabile di vitalità. Possiamo dire che don Pino Puglisi con il suo esempio, con tutta la sua vita sacerdotale, è stato un maestro di umanità.

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