La giornata internazionale contro le discriminazioni ci ricorda che ci sono ancora molti passi da compiere per costruire un mondo in cui nessuno venga discriminato ed emarginato in base all’etnia, alla religione, al sesso, alla condizione economica e fisica di una persona. In Occidente si tratta di un fenomeno che non è sempre facile riconoscere e prevenire. Spesso la discriminazione è infatti esercitata da persone mosse da pregiudizi e che assumono atteggiamenti che portano all’esclusione di determinate categorie di persone. Ma in molti Paesi del mondo la discriminazione è invece insita nel sistema sociale e normativo, sancita nera su bianco tramite leggi. Insomma esiste una vera è propria discriminazione istituzionalizzata. Basta dire che in diversi Paesi islamici ai cristiani e ai non musulmani in generale è proibito assumere ruoli apicali nella politica, nell’esercito e nella pubblica amministrazione.
L’Osservatorio italiano per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), che vede impegnati insieme Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, registra circa 300 segnalazioni l’anno di atti discriminatori (razzismo, antisemitismo, discriminazione religiosa e omofobia) molti dei quali spesso non hanno alcuna conseguenza giudiziaria. Si tratta di un numero esiguo considerando che siamo un paese di 60 milioni di abitanti in cui si registrano meno di 30 casi al mese ma questo non giustifica una sottovalutazione del fenomeno e della necessità di lavorare sul fronte educativo.
L’Europa riesce a mantenere un delicato equilibrio tra pluralismo, diritti e integrazione ma non è così ovunque. A livello mondiale la più diffusa forma di discriminazione è proprio quella in base al credo religioso. Secondo l’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, nel mondo, in un 1 Paese su 3, il diritto alla libertà religiosa non è pienamente rispettato, con Cina e Corea del Nord si confermano maglia nera. Quasi 4,9 miliardi di persone, pari al 62% della popolazione mondiale, vivono in nazioni in cui la libertà religiosa è fortemente limitata. Ci sono quindi milioni di cristiani ma anche di musulmani, ebrei e di altre confessioni che vengono discriminati per il loro credo religioso.
Capitolo a parte merita la questione della condizione femminile. Secondo le Nazioni Unite 3,1 miliardi di donne – oltre il 90% della popolazione femminile mondiale – risiede in Paesi con bassi livelli di integrazione femminile nel mondo del lavoro. La parità di genere resta quindi un miraggio ma a ben vedere ci sono nazioni in cui non sono rispettati nemmeno i diritti dell’infanzia e in cui è riscontrabile il drammatico fenomeno delle spose bambini. Si potrebbe parlare poi delle discriminazioni economiche che si vanno espandendo che l’aumento della forbice tra la popolazione più ricca e quella più povera, con la concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone. Esiste il concreto rischio che, nonostante il diffondersi della democrazia, i processi decisionali e le possibilità di esercitare pressioni diventano sempre più una questione esclusiva di una élite.
Infine non bisogna dimenticare nuove forme più insidiose di discriminazioni che si vanno affermando anche in Occidente. Quelle che Papa Francesco ha definito più volte discriminazioni con i guanti bianchi. In nome di un laicismo sfrenato, Nazioni con una democrazia compiuta e consolidata tendono a marginalizzate la religione, ad escludere ogni manifestazione della fede dallo spazio pubblico e cancellare millenni di tradizioni. I cristiani, chi difende il valore della vita e i diritti del concepito in questi contesti viene silenziato, escluso, non di rado rischia la carriera. Per queste ragioni, un antidoto infallibile contro le discriminazioni nelle nostre società moderne è la difesa del principio del pluralismo. Senza pluralismo si impone il pensiero unico dalle colonizzazioni ideologiche, a volte ammantato dalle migliori intenzioni che prendono però ben presto una deriva liberticida. Per combattere le discriminazioni bisogna riconoscere la dignità di ogni essere umano e confrontarsi con la visione dell’altro, questo non significa scadere nel relativismo che non riconosce il bene e il male ma valorizzare quello che c’è di buono nelle diversità.