Nel messaggio alla Pontificia Accademia Mariana Internationalis, il Papa esorta a contrastare “ogni forma di violenza e sopruso” e a dare attenzione “alla dignità e alla cura di ogni persona”. Per Francesco l’impegno di chi ha responsabilità è quello di “adoperarsi nella formazione delle coscienze per edificare una società inclusiva fondata sulla pace e sul dialogo e attenta alla dignità e alla cura di ogni persona”. Affinché “il tessuto sociale si apra alla speranza di un mondo migliore” si deve “partire dalle coscienze, per risanare i propositi, le scelte, gli atteggiamenti dei singoli”.
Le devastazioni prodotte dalle guerre in atto – con i mutamenti degli equilibri religiosi e geopolitici, con gli sconvolgimenti delle relazioni internazionali dal punto di vista giuridico, militare e commerciale – richiedono il ripensamento non solo della configurazione dell’Occidente europeo sia nei confronti delle pressioni russe sia della dipendenza dagli Stati Uniti, ma anche degli stessi rapporti mondiali fra i popoli entro la famiglia umana. L’ultima Settimana sociale dei cattolici in Italia ha voluto delineare a Trieste percorsi di speranza, investendo sulla trasformazione della politica a partire dalla partecipazione. L’impegno alla partecipazione, secondo i suoi diversi gradi e significati, nonché alla cittadinanza attiva, alla costruzione di relazioni e comunità, rimane via privilegiata per essere tutti protagonisti nella realizzazione del bene comune nazionale e mondiale, della pace. Perché la democrazia, come ha anche detto papa Francesco a Trieste, non gode di buona salute, è fortemente in crisi. Colin Crouch l’ha definita post-democrazia, ovvero democrazia senza cittadini. Si tratta di una crisi profonda che non riguarda solo il piano delle istituzioni.
Nell’udienza alla Guardia di Finanza in occasione del 250° anniversario dalla fondazione, il Pontefice ha invitato a combattere la mentalità utilitarista, devota solo al “dio denaro”. E ha raccontato ”A me piace andare alla chiesa di San Luigi dei francesi a vedere quel Caravaggio, ‘La conversione di Matteo’, così ricco di simboli profondi. Matteo rappresentava una mentalità utilitarista e senza scrupoli, devota solo al ‘dio denaro’. Anche ai nostri giorni una logica simile si ripercuote sulla vita sociale, causando squilibri ed emarginazione: dallo scandalo degli sprechi alimentari all’esclusione di cittadini dal beneficiare di alcuni loro diritti”. Ha aggiunto il Santo Padre: “Anche lo Stato può finire vittima di questo sistema. Perfino quegli Stati che, pur disponendo di ingenti risorse, rimangono isolati sul piano finanziario o del mercato globale. Come si spiega la fame nel mondo, oggi, quando ci sono tanti, tanti sprechi nelle società sviluppate? È terribile questo. E un’altra cosa: se si fermassero un anno dal fabbricare le armi, finirebbe la fame nel mondo. E invece si preferiscono le armi al risolvere la fame”.
Come cattolici, ha sottolineato papa Francesco a Trieste, non possiamo rassegnarci e accontentarci di una fede marginale o privata. C’è bisogno di una fede incarnata, la cui dimensione sociale porta ad impegnarsi nella redenzione e nell’umanizzazione progressive delle relazioni e delle istituzioni, compresa la democrazia come regime politico e come forma di organizzazione delle istituzioni pubbliche. Se la dimensione sociale della fede non viene debitamente esplicitata si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice. Si vanifica l’integralità della redenzione. Si cadde in una specie di eresia che nega la reale incarnazione di Gesù Cristo. Occorre vivere, come propone l’enciclica Fratelli tutti, l’amore politico, che è una forma di carità – per san Paolo VI la più alta, dopo quella della preghiera – che permette alla politica di essere realista, di essere all’altezza delle sue responsabilità, sulla base di un’intensa passione civile. Una nuova evangelizzazione del sociale consentirà di aggiornare l’insegnamento sociale della Chiesa, la cui ricchezza dev’essere condivisa.