Il tema dell’uguaglianza di genere è divenuto ormai una priorità imprescindibile anche per i capi di governo dei 20 paesi “più grandi” del mondo che ad ottobre scorso a Roma, in occasione del summit conclusivo del G20 sotto presidenza italiana, nella “Declaration” finale hanno riaffermato e rilanciato espressamente il loro impegno a riguardo e rimarcato il ruolo importante dell’emancipazione e della leadership di donne e ragazze a tutti i livelli per uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
“Lavoreremo – si legge nel testo – su fattori chiave come la parità di accesso all’istruzione e alle opportunità, anche nei settori STEM, la promozione dell’imprenditorialità e della leadership femminile, l’eliminazione della violenza di genere, il miglioramento dei servizi sociali, sanitari, assistenziali ed educativi, il superamento degli stereotipi di genere e la distribuzione ineguale delle cure non retribuite e del lavoro domestico”.
Su questa stessa linea, per quel che ci riguarda più da vicino, viaggia il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che fa dell’empowerment femminile e delle pari opportunità un obiettivo da perseguire ed estendere trasversalmente a tutte le fasi progettuali previste. Occorrono però anche riscontri concreti che diano la percezione che su questo punto si fa veramente sul serio, cercando ad esempio di non rinviare nel tempo interventi o parte di essi che per essere veramente efficaci devono necessariamente procedere di pari passo. Con la nuova legge di Bilancio sono stati fatti importanti passi in avanti che auspichiamo inizino a dare quei risultati che tutti ci aspettiamo sia sul fronte dell’occupazione femminile – in Italia nonostante la crescita occupazionale sono ancora oltre sette milioni le donne inattive nella fascia d’età 30-69 anni (Rapporto Randstad Research) – sia sul contrasto alle discriminazioni, ma serve uno sforzo maggiore per uscire fuori dalle sole buone intenzioni e dalle operazioni simboliche al fine di dare lungo respiro alla ripresa.
Sembra superfluo ribadire ancora una volta che l’uguaglianza di genere non è solo un imperativo morale o una questione di equità, ma fa bene anche alla crescita economica, come ha recentemente ricordato anche il Commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni. C’è bisogno, pertanto, di strategie vere, che traducano i buoni propositi in azioni corrispondenti. La creazione di infrastrutture socio-assistenziali universali, accessibili, ben distribuite sul territorio, ad esempio, limiterebbero il carico di cura e assistenza familiare, uno degli ostacoli principali per l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne e per contrastare il ricorso forzato o involontario ad orari di lavoro parziali, nonché per favorire l’emersione e la regolarizzazione del lavoro domestico oggi segregante e spesso svolto da lavoratrici immigrate.
La scarsa presenza di infrastrutture socio-assistenziali, poi, sia pubbliche che del privato-sociale, in grado di assicurare adeguati servizi di welfare per la famiglia, gli anziani disabili, per la prima infanzia, per gli asili nido e le scuole dell’infanzia, hanno conseguenze dirette sul lato della natalità che ha continuato la sua discesa anche nel 2020: 15 mila nascite in meno con un numero medio di figli per donna pari a 1,17, il più basso di sempre (Istat).
A confermare il maggior peso della cura sulle donne è stata anche la recentissima indagine Assindatcolf-Censis che ha registrato, guardando al numero di ore di impegno effettivo tra uomini e donne nel settore un valore molto più elevato per le seconde: il 23,9% delle donne del campione afferma di svolgere attività domestica e familiare per più di 24 ore alla settimana, la quota degli uomini si ferma all’11,5%. Chiediamo quindi alla politica di fare di più assicurando congruità e continuità agli interventi i cui risultati tangibili saranno il metro di misura della nostra azione e delle nostre rivendicazioni dal prossimo anno.