Il lascito spirituale della missione di pace del Papa in Africa. Ieri nell’omelia della Messa a Giuba, Francesco ha evidenziato che “prima di preoccuparci delle tenebre che ci circondano, prima di sperare che qualcosa attorno si rischiari, siamo tenuti a brillare. A illuminare con la nostra vita e con le nostre opere le città, i villaggi e i luoghi che abitiamo. Le persone che frequentiamo, le attività che portiamo avanti. A noi è chiesto di ardere d’amore”. Quindi ha raccomandato il Papa lasciando il Sud Sudan per rientrare a Roma: “Non accada che la nostra luce si spenga, che dalla nostra vita scompaia l’ossigeno della carità, che le opere del male tolgano aria pura alla nostra testimonianza. E’ bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato. Così si sperimenta la gioia del Vangelo”
C’è bisogno di etica nell’economia e c’è bisogno di etica anche nella politica.
Del resto, più volte vari capi di Stato e leader politici che il Papa ha potuto incontrare dopo la sua elezione a vescovo di Roma gli hanno parlato di questo. Hanno detto: i leader religiosi devono aiutare, dare indicazioni etiche. Il ragionamento di Francesco è da leader morale del pianeta. Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso Papa Bergoglio si dice convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello. Nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia. Mettendo al centro il bene comune. Dunque non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo.
In questa ottica il Papa invoca programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse. Alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso. Intanto, però, le parole forti e profetiche di Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno contro l’imperialismo internazionale del denaro, oggi suonano per molti, anche cattolici, eccessive e radicali. “Pio XI sembra esagerato a coloro che si sentono colpiti dalle sue parole, punti sul vivo dalle sue profetiche denunce”, sostiene Francesco. “Ma il papa non era esagerato, aveva detto la verità dopo la crisi economico- finanziaria del 1929, e da buon alpinista vedeva le cose come stavano, sapeva guardare lontano. Temo che gli esagerati siano piuttosto coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI”. Restano ancora valide le pagine della Populorum Progressio nelle quali si dice che la proprietà privata non è un diritto assoluto. Ma è subordinata al bene comune, e quelle del Catechismo di san Pio X che elenca tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio l’opprimere i poveri e il defraudare della giusta mercede gli operai.
“Non solo sono affermazioni ancora valide, a più il tempo passa e più trovo che siano comprovate dall’esperienza“, avverte papa Bergoglio. I poveri sono carne di Cristo. Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i ‘pauperisti’, nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il “protocollo” sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. “Avere cura del nostro prossimo. Di chi è povero, di chi soffre nel corpo, nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone“, osserva il Papa della misericordia.È pauperismo? No, è Vangelo . Infatti, prosegue papa Bergoglio, “la povertà allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri”. Quello del Vangelo è “un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi. Ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri“.Ecco, dunque, il mandato del Papa alla Chiesa africana. “Noi cristiani, pur essendo fragili e piccoli, anche quando le nostre forze ci paiono poca cosa di fronte alla grandezza dei problemi e alla furia cieca della violenza, possiamo offrire un contributo decisivo per cambiare la storia– ha sottolineato Francesco nella sua missione africana-. Questa terra, bellissima e martoriata, ha bisogno della luce che ciascuno di voi ha, o meglio, della luce che ognuno di voi è. Vi auguro di essere sale che si sparge e si scioglie con generosità per insaporire con il gusto fraterno del Vangelo. Di essere comunità cristiane luminose che, come città poste in alto, gettino una luce di bene su tutti“.