Come il suo predecessore Leone Magno che nell’ora più buia del cristianesimo andò incontro ad Attila per impedire la distruzione di Roma, papa Francesco è intervenuto ieri al G7 per fermare la disumanizzazione del mondo. “La politica serve! – ha affermato il primo pontefice della storia a prendere parte al vertice dei Sette Grandi-. Voglio ribadire in questa occasione che davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di nazione e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura”. Parole profonde e illuminanti pronunciate dal protagonista principale del vertice più importante dell’epoca contemporanea. Mentre il parlamento italiano si azzuffa mostrando il peggio di se e spiegando nei fatti il motivo per cui la maggior parte degli italiani non vanno più a votare ecco che i potenti della Terra si ritrovano ad ascoltare il Santo Padre che pur nella sua profonda umiltà ricopre la missione di faro morale e guida spirituale nella Chiesa e nel mondo.
E’ stato sempre, infatti, il più alto ruolo dei Papi quello di costruire ponti e non innalzare muri. Purtroppo nella storia ci sono stati anche non pochi momenti oscuri e stagioni nebulose a dimostrazioni appunto che lo Spirito Santo, e quindi l’anima dell’Ecclesia scrive ugualmente diritto aldilà delle righe storte degli uomini. Invitare il Pontefice al G7 è stato quindi un gesto importante per alzare il livello di una discussione tra i leader globali protesa a riflettere sul bene comune senza fermarsi agli interessi particolari. Il metodo di Francesco è quello testimoniato in ogni fase del suo Magistero sociale: ispirare condivisione lasciando ai governanti l’individuazione delle soluzioni tecnicamente più efficaci a beneficio di tutti e di ciascuno. Significativamente Jorge Mario Bergoglio ha ricordato la missione della politica richiamando le parole di papa Achille Ratti (Pio XI 1857-1939) ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica (udienza del 18 dicembre 1927). Pio XI affermò in quell’occasione: “E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore”. E inoltre: “Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”.
Il cuore del discorso è il suo richiamo fondamentale che solo i superficiali possono ritenere scontato e cioè il fatto che “l’Intelligenza artificiale non può essere considerato un essere umano”. Certamente un simile richiamo contro il pericolo di una deriva postumanistica deve far riflettere chiunque abbia una lettura soltanto parziale di questa nuova forma di “intelligenza”. Forse bisognerebbe mettere anche l’accento sul termine “artificiale” proprio per comprendere lucidamente che oltre questi esaltanti progressi tecnologici c’è sempre all’origine un’intelligenza d’amore per il creato, per la vita, per l’umanità che non può e non deve mai essere sottoposta a nessun altra “intelligenza”. Non sarà facile convincere gli idolatri dell’IA a non mettere il mondo in mano alle macchine così come non sarà semplice educare i nostri ragazzi a discernere senza lasciare che sia la macchina a scegliere al posto nostro.
Infatti la sottile distinzione di Papa Francesco tra lo scegliere e il decidere mai come in questo caso diventa fondamentale. Le macchine possono scegliere attraverso i loro algoritmi dando nel calcolo le risposte più efficienti ma chi può decidere deve restare sempre e soltanto l’uomo. Quello che è pur sempre e soltanto uno strumento non può tramutarsi in un boomerang deleterio per tutta la società, per il pianeta. Gli strumenti devono essere governati e il compito di una “sana politica” deve essere proprio custodire e orientare i giusti processi evolutivi che non dovranno mai sottomettere la coscienza umana e i suoi principi assoluti. La misericordia, quale punto focale del ministero di Francesco, costituisce anche il criterio orientatore della sua concezione geopolitica, che lo porta a ispirare a questa regola suprema della vita cristiana anche il linguaggio della politica e della diplomazia. La misericordia non cancella le esigenze della giustizia, bensì le presuppone e le compie e, qualora una giustizia piena non sia possibile a causa di antiche ingiustizie ormai consumatesi, si apre alla richiesta di perdono, come abbiamo già sentito nel discorso rivolto al popolo del Chiapas, durante il viaggio apostolico in Messico.
Quella costruita da Francesco, nei suoi viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della sua Chiesa, è una politica aperta, estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, laica ma coinvolta, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno e di sofferenza, estranea al giudizio e capace di sostenere e accompagnare con volto di madre. E tale modalità, lungi dal rappresentare una debolezza, si trasforma al contrario in motivo di forza e di autorevolezza, come si è reso evidente nel gesto umile e decisivo dell’indizione di un giorno di digiuno e preghiera per scongiurare la guerra in Siria, o nella mediazione del papa nei rapporti tra Usa e Cuba, risultata determinante per riconoscimento dei loro stessi capi di Stato. L’opera della Chiesa diventa efficace, ci ricorda Francesco in ogni parola e in ogni gesto, non quando essa difende le sue posizioni, ma quando è libera e povera, ancorandosi alla vera ricchezza, che le viene da Dio. Per questo il Papa, nel suo intervento al G7 consegnato e in parte letto, ha sollecitato l’urgenza dell’azione politica. Citando l’enciclica “Fratelli tutti”, Bergoglio ha osservato: “Certamente per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici- non di tutti. A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia.
E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?'”. Il Pontefice ai Grandi della Terra chiede proprio “una buona politica” per la pace”. La società mondiale “ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali”. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi”. Francesco chiede al G7 “un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune”. Solo ciò può aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di “incanalare tale energia in modo nuovo”. Del resto, insegna Madre Teresa, “la fame d’amore è molto più difficile da rimuovere che la fame di pane”.