Nel viaggio di papa Francesco in Bahrein, piccola monarchia araba costituita da un arcipelago di isole attaccate alla costa saudita del Golfo Persico, c’è stato a mio avviso un convitato di pietra: l’Iran. Cosa stia accadendo in Iran lo sappiamo tutti, da quasi due mesi una protesta incredibilmente diffusa e indomabile sta mettendo a soqquadro piazze e città, villaggi e campagne di un Paese in rivolta per la durezza del regime teocratico che impone l’interpretazione più stretta e fanatica dei dettami religiosi, a cominciare dall’obbligatorietà del velo stretto per le donne, che l’islam non impone ma semplicemente suggerisce, senza indicarne altro che il porsi sopra la testa. L’Iran ha conosciuto la sua rivoluzione quarant’anni fa, che il khomeinismo ha trasformato, capovolto in teocrazia miliziana, che pretende di rappresentare la famiglia sciita, diffusa in tanti Paesi, anche arabi. Questa pretesa iraniana di identificarsi con lo sciismo e di esportare la sua rivoluzione in tutto il mondo arabo conquistando l’islam, ha trasformato il preesistente astio tra sunniti, la maggioranza musulmana degli arabi, e gli sciiti, la maggioranza musulmana degli iraniani, in uno scontro totale tra la prima potenza araba, i reazionari sauditi, e la prima potenza persiana, i reazionari-rivoluzionari iraniani.
Ora la rivolta contro il governo teocratico in Iran segna una nuova rivoluzione, che orrendamente repressa dal sistema teocratico potrebbe trasformarsi in una rivoluzione non tanto libertaria, quello lo è già, ma antislamica, nel senso di anti religiosa, nichilista. Una rivoluzione antislamica che insanguinata da un potere oppressivo e feroce potrebbe giustificare questo nuovo sentire nichilista, e che potrebbe portarne un’altra sulla sua scia, uno analogo opposto contro i regimi reazionari sunniti che per sfidare, o resistere alla sfida iraniana, hanno identificato il vero islam con se stessi, torvi e chiusi i mullah di Tehran. Chi, a mio avviso, ha capito che questo è il pericolo che corre il suo mondo è l’imam al Tayyeb, suprema autorità teologica sunnita che ha firmato con papa Francesco il Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana e che voleva abbracciare convenendo con lui su questo testo il suo omologo sciita, l’ayatollah al-Sistani. L’ incontro tra al Tayyeb e al-Sistani, in Iraq, era già pronto, i sopralluoghi di sicurezza effettuati. Le milizie in armi, i gruppi del terrore, soprattutto khomeinisti, lo hanno impedito. C’è chi ha sussurrato, senza conferme, che se quell’incontro ci fosse stato vi sarebbe stato poco dopo un vertice a tre, a San Pietro. Sarà vero? Non lo so e non mi interessa, mi interessa che sia verosimile e il viaggio di Francesco in Bahrein, invitato sempre dalla suprema autorità islamica sunnita, al Tayyeb, lo ha confermato. Nessuno di loro ha nominato l’Iran, né ha fatto il minimo riferimento a quanto vi accade. Ma entrambi sapevano che le voci rimbalzano da tempo: l’Iran preso nel vortice delle contestazioni interne potrebbe tentare di offuscarle attaccando Riad. Vero? Anche questo non lo so e non mi interessa, interessa a mio avviso che sia verosimile, e la pubblicazione del timore d’intelligence su autorevoli quotidiani globali lo ha confermato.
Infatti, seduto accanto a Francesco, l’imam al Tayyeb ha concluso così il suo intervento al Forum per il dialogo tra Oriente e Occidente: “Elogio il titolo di questo importante forum di dialogo tra Oriente e Occidente e il suo significato per la coesistenza umana. Tuttavia, riconosco le difficili condizioni in cui versa il nostro mondo moderno e le minacce all’esistenza umana e alla stabilità delle nazioni. A causa del mio riconoscimento e apprezzamento, come essere umano, per la gravità di queste crisi complesse, chiedo innanzitutto agli studiosi e ai pensatori religiosi di impegnarsi maggiormente nell’educazione dei giovani su questi fatti indiscutibili di comunanza religiosa. Dovrebbero essere adattati nei moderni programmi accademici per insegnare e convincere i giovani che, agli occhi della filosofia religiosa, c’è spazio nella vita per coloro che hanno fedi, razze, colori e lingue diverse, e che la diversità culturale arricchisce la civiltà e stabilisce la pace che manca. Invito inoltre i miei fratelli, gli studiosi musulmani di tutto il mondo, di ogni dottrina, setta e scuola di pensiero, a tenere un dialogo islamico, un dialogo sull’unità, la coesione e il ravvicinamento, un dialogo per la fraternità islamica, privo di divisioni, discordie e, soprattutto, di lotte settarie. Occorre concentrarsi sui punti in comune e sui punti di incontro, con una comprensione delle differenze. Scacciamo insieme ogni discorso di odio, provocazione e scomunica e mettiamo da parte il conflitto antico e moderno in tutte le sue forme e con tutte le sue propaggini negative. Rivolgo, con cuore amorevole per tutti, questo speciale appello ai nostri fratelli musulmani sciiti. Ribadisco che gli alti studiosi di al Azhar e del Consiglio musulmano degli anziani e io siamo pronti a ospitare un incontro simile con cuore aperto e mani tese, in modo da poterci sedere insieme in un’unica tavola rotonda per mettere da parte le nostre differenze e rafforzare la nostra unità islamica su posizioni notoriamente pragmatiche e al servizio degli obiettivi dell’Islam e della sua legge, che vieta ai musulmani di cedere agli appelli alla divisione e alla frammentazione. Dobbiamo guardarci dal cadere nella trappola di compromettere la stabilità delle patrie e di sfruttare la religione per alimentare il fuoco dei sentimenti nazionalistici e ideologici […] In questa importante occasione per ospitare il dialogo tra Oriente e Occidente per il bene della convivenza umana, mi associo a tutti coloro che cercano la pace e il bene. Chiedo anche la fine della guerra russo-ucraina, per risparmiare le vite degli innocenti che non sono coinvolti in questa violenta tragedia. Chiedo di issare la bandiera della pace, non della vittoria, e di sedersi al tavolo del dialogo e del negoziato. […]”.
I meriti di al-Tayyeb sono chiarissimi, come la forza delle sue parole, ma io dico che tutto questo senza la relazione con Francesco non sarebbe accaduto nello stesso identico modo. Il metodo Bergoglio ha rinunciato al pregiudizio verso l’altro, al tono docente, e lo ha dimostrato ad al-Tayyeb creando in lui la possibilità di fare altrettanto. La storia del loro rapporto è nota, come la forza ritenuta utopica del loro Documento congiunto sulla fratellanza che si sono semplicemente rifiutati di leggere. Ma per dire perché Francesco ha incarnato un metodo di apertura e amicizia vorrei fare due esempi relativi non alla storia, ma al loro incontro in Bahrein. Francesco è atterrato in Bahrein e subito dopo si è recato al palazzo reale, tra uniformi scintillanti, marmi e pietre preziose in enorme quantità. E’ uno dei regni dell’opulenza dei petromonarchi, il Bahrein. L’ostentazione qui è il simbolo del potere, ciò che distingue chi può da chi non può. E Francesco? Francesco è arrivato al palazzo reale con la sua cinquecento bianca, poi ha subito salutato il suo fratello al Tayyeb. In cinquecento nonostante i dolori al ginocchio che lo hanno costretto anche in Bahrein molto spesso sulla sedia a rotelle. Poi davanti al re ha ricordato i diritti dell’uomo, il diritto alla vita, condannando esplicitamente quella pena di morte alla quale il Bahrein ha incrementato enormemente il ricorso. Ma il vero capolavoro fraterno, verso “suo fratello” al-Tayyeb ma non solo verso di lui, lo ha fatto citando, in questo forum convocato da leader sunniti, il fondatore dello sciismo, l’Imam Ali. Perché Francesco sa che il Corano definisce, all’inizio di ogni sua sua, Allah, cioè Dio, “clemente e misericordioso”. A riprova che i tre monoteismi credono, come ha detto, “nello stesso Dio”. E’ il Dio di Abramo, il padre comune, che gli arabi chiamano al-Khalil, l’amico di Dio.
In definitiva Francesco con al-Tayyeb ha iscritto il Documento sulla fratellanza non più nelle idee ma nell’azione comune delle fedi monoteiste, che non vogliono imporre, ma testimoniare. Quello che chiedono tutte le vittime di guerre combattute ancora oggi come accadeva da noi ai tempi della Guerra dei Trent’anni, tra re che si dicevano cattolici e protestanti. Una pagina che ha dato il suo indimenticabile contributo per chiuderla, non con la vittoria di uno ma con la comune cittadinanza, non con il suprematismo confessionale. Ci riuscirà? Ci riusciranno? A me sembra che a Manama si sia visto lo spirito del Concilio Vaticano II, dell’unità nella diversità, arrivare nell’islam. Il Concilio ha detto Francesco avrà bisogno di un secolo per realizzarsi. Ci vorrà tempo anche in Oriente, ma quanto è accaduto a Manama, in Bahrein, è un inizio, sorprendente e affascinante.