La predicazione di Papa Francesco risulta popolare e di immediata comprensione. Ma chi ha pazienza di leggere i testi, i discorsi, le esortazioni, le encicliche si rende conto della profondità del Magistero. Della complessità delle questioni. Della dottrina. Delle domande sull’uomo. Sul creato. Sulle questioni del mondo e della vita. Un insieme di problematiche che richiede una risposta collegiale, decentrata. Il vescovo di Roma
presiede nella carità tutte le Chiese. La predicazione dei pontefici ha talvolta avuto bisogno di chiarimenti. Perché interpretata malevolmente ed eccessivamente strumentalizzata. I media spesso riportano frasi incomplete, stravolgendone il senso. Esattamente come fanno negli altri ambiti della comunicazione. Politica, economica o informazione religiosa. Fa poca differenza nella babele mediatica. Tra fraintendimenti, forzature e interpretazioni parziali.Per esempio la scelta di una Chiesa povera per i poveri, e in uscita, non è da interpretare come populismo. Francesco cita una immagine che a lui piace molto. E cioè il “sentire con la Chiesa”. Ne scrive già sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali. Il concetto di Chiesa che piace a Francesco è quella del “santo popolo fedele di Dio“. È la definizione che usa spesso. Ed è poi quella della costituzione conciliare “Lumen Gentium” (numero 12). Jorge Mario Bergoglio considera il Concilio come un “fatto indiscutibile”. Il Vaticano II è stato, secondo papa Francesco, una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono epocali. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo. Proprio come rilettura del Vangelo. A partire da una situazione storica concreta. Al di là delle linee di ermeneutica (continuità o discontinuità) una cosa è chiara. La dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi è stata propria del Concilio. Ed è assolutamente irreversibile.Non mancano questioni particolari. Come la liturgia secondo il “Vetus Ordo“. Al riguardo la scelta di Papa Benedetto è stata prudenziale. Legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa particolare sensibilità. Al riparo dal rischio di ideologizzazione del “Vetus Ordo”. E lo stesso Papa Francesco, intervistato da padre Antonio Spadaro, ha messo in guardia dalle strumentalizzazioni. In generale Francesco è un promotore dell’ecumenismo e della pace. Più volte ha offerto dei suggerimenti pratici per un ecumenismo praticabile. “L’unità è possibile se per primi, noi, superiamo i conflitti e lo spirito di superiorità“, insegna Jorge Mario Bergoglio. Misericordia e perdono sono parole-chiave del suo pontificato di Francesco. E costituiscono il presupposto per un vero e autentico cammino ecumenico. L’ecumenismo, nella visione di Francesco, non esisterebbe (e non potrebbe svolgersi)
senza una convinzione. Quella che i cristiani devono chiedere perdono a Dio e chiedersi vicendevolmente perdono. Per le divisioni che hanno generato nel Corpo di Cristo. Lo dimostra l’impegno ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. Un anelito accompagnato fin dall’inizio da un cammino di perdono. Ciò ha trovato il suo gesto paradigmatico nello storico incontro tra Paolo VI e il patriarca ortodosso Atenagora (1964). Con la reciproca cancellazione delle antiche scomuniche. Un cammino difficile ma possibile. Attraverso la ricucitura di quella veste senza cuciture di Gesù che venne strappata. Francesco nella Evangelii Gaudium dedica una serie di indicazioni, riflessioni e resistenze al dialogo ecumenico. Non solo nel cammino con i “fratelli ortodossi”. Ma volgendo uno sguardo speciale al popolo ebreo. Nonché
al dialogo interreligioso. Quale “condizione necessaria per la pace nel mondo”.