A fondamento del Magistero di ogni Papa dopo il Concilio. Si intitola Nostra Aetate la dichiarazione conciliare su “Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” approvata e promulgata il 28 ottobre 1965 dal Vaticano II. Su 2132 votanti, i sì o “placet” dei padri conciliari furono 2041, 88 i non placet, 3 i voti nulli. Il testo si compone di un’introduzione e quattro punti. “Le diverse religioni”. “La religione musulmana”. “La religione ebraica”. “Fraternità universale”. In particolare, nel rapporto con le altre fedi, il documento. Mentre ribadisce che Cristo è “via, verità e vita” (Gv 14,6). In cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa. E in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose. Sottolinea che la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle altre religioni riconosciute come tali. I padri del Vaticano II, con il decreto “Nostra aetate”, avevano scritto un documento rivoluzionario. La Chiesa cattolica riconosceva di non poter entrare nella comprensione del suo stesso mistero. Se non a partire dalle proprie “origini” ebraiche. E cioè dal vincolo che lega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo.Erano passati vent’anni dalla chiusura del Vaticano II. E nel 1985 Giovanni Paolo II si accorse che c’erano non pochi cattolici, i quali mostravano ancora una certa riluttanza a riconoscere il nuovo atteggiamento della loro Chiesa verso l’ebraismo. A cominciare dalla cancellazione del “deicidio”. Per cui restavano un po’ tutti i pregiudizi e i preconcetti sugli ebrei. Restava una “zona grigia”, come diceva Primo Levi, al fondo di molte coscienze. E allora, che cosa fare perché le affermazioni rivoluzionarie del Concilio fossero accettate da quelle coscienze cosi restie ma fossero anche credute da ebrei che avevano patito nella loro carne le offese di un antisemitismo cattolico? Ed ecco che spunto l’idea della visita a una sinagoga. Anche perché, essendo in programma un viaggio negli Stati Uniti, era arrivata una proposta del genere da parte dell’arcivescovo di Los Angeles. Giovanni Paolo II pensò di parlarne a pranzo con i suoi più diretti collaboratori. E e uno dei presenti, a un certo punto, se ne usci: “Santo Padre, ma allora perché non cominciare dalla sua diocesi?”. Cosi, la scelta cadde sul Tempio Maggiore della comunità ebraica di Roma. Era la soluzione più logica, e, oltretutto, soddisfaceva un desiderio che Giovanni Paolo II coltivava da tempo.Dunque un Papa entrava per la prima volta in una sinagoga. E papa Wojtyla aveva conosciuto l’ebraismo dall’interno. Nella cittadina di Wadowice, dove Karol Wojtyla era nato, la convivenza con gli ebrei faceva parte della quotidianità. Piu tardi – come spesso ricorderà – anche lui aveva vissuto “in certo modo” la tragedia della Shoah. Molti dei suoi compagni erano scomparsi in guerra. E quelli ebrei, nei campi di sterminio nazisti. Insomma, un Papa che, per la sua storia, per le sue esperienze, poteva compiere credibilmente quell’atto di riparazione, di pentimento e di solidarietà verso tutti gli ebrei, di ieri e di oggi. Il Concilio Vaticano II è stato un tempo straordinario di riflessione, dialogo e preghiera per rinnovare lo sguardo della Chiesa Cattolica su se stessa e sul mondo. Una lettura dei segni dei tempi in vista di un aggiornamento orientato da una duplice fedeltà: fedeltà alla tradizione ecclesiale e fedeltà alla storia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Infatti Dio, che si è rivelato nella creazione e nella storia, che ha parlato per mezzo dei profeti e compiutamente nel suo Figlio fatto uomo (Eb 1,1), si rivolge al cuore ed allo spirito di ogni essere umano che cerca la verità e le vie per praticarla. Il messaggio della Dichiarazione Nostra aetate è sempre attuale.
Papa Francesco ne ha ricordato alcuni punti. Ossia la crescente interdipendenza dei popoli. La ricerca umana di un senso della vita, della sofferenza, della morte, interrogativi che sempre accompagnano il nostro cammino. La comune origine e il comune destino dell’umanità. L’unicità della famiglia umana. Le religioni come ricerca di Dio o dell’Assoluto, all’interno delle varie etnie e culture. Lo sguardo benevolo e attento della Chiesa sulle religioni. Essa non rigetta niente di ciò che in esse vi è di bello e di vero. La Chiesa guarda con stima i credenti di tutte le religioni, apprezzando il loro impegno spirituale e morale. La Chiesa, aperta al dialogo con tutti, è nello stesso tempo fedele alle verità in cui crede, a cominciare da quella che la salvezza offerta a tutti ha la sua origine in Gesù, unico salvatore. E che lo Spirito Santo è all’opera, quale fonte di pace e amore. Sono tanti gli eventi, le iniziative, i rapporti istituzionali o personali con le religioni non cristiane di questi ultimi cinquant’anni, ed è difficile ricordarli tutti. Secondo papa Francesco un avvenimento particolarmente significativo è stato l’Incontro di Assisi del 27 ottobre 1986. Esso fu voluto e promosso da san Giovanni Paolo II, il quale un anno prima, dunque trent’anni fa. Rivolgendosi ai giovani musulmani a Casablanca auspicava che tutti i credenti in Dio favorissero l’amicizia e l’unione tra gli uomini e i popoli (19 agosto 1985). La fiamma, accesa ad Assisi, si è estesa in tutto il mondo e costituisce un permanente segno di speranza. Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via. “Sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo. “No” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. La conoscenza, il rispetto e la stima vicendevoli costituiscono la via che, se vale in modo peculiare per la relazione con gli ebrei, vale analogamente anche per i rapporti con le altre religioni. Penso in particolare ai musulmani, che – come ricorda il Concilio – “adorano il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” (Nostra aetate, 5). Essi si riferiscono alla paternità di Abramo, venerano Gesù come profeta, onorano la sua Madre vergine, Maria, attendono il giorno del giudizio, e praticano la preghiera, le elemosine e il digiuno.
“Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso– afferma papa Francesco-. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso. Rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione. Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci chiede risposte effettive su numerosi temi. La pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza”. Aggiunge Jorge Mario Bergoglio: “Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità.