Le armi non sono la soluzione, senza lavorare per pace in Ucraina l’umanità resterà sull’orlo dell’abisso. Andare alle radici è un chiave interpretativa del pontificato di pace di Francesco. E aiuta a comprendere il suo incessante impegno per fermare la guerra in Ucraina Alla base della missione di Jorge Mario Bergoglio sul soglio di Pietro, infatti, c’è il Concilio ecumenico Vaticano II. La spinta verso la conciliazione tra i discepoli di Gesù contrasta tragicamente con lo scandalo di una guerra tra due popoli cristiani.
Tra i “fratelli separati” ucraini e russi Francesco getta il ponte dell’ecumenismo per abbattere i muri dell’odio. “Un cristiano senza amore è come un ago che non cuce: punge, ferisce. Ma se non cuce, se non tesse, se non unisce, non serve. Oserei dire, non è cristiano”, ha affermato il Pontefice nella storica giornata dell’Atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria della Russia e dell’Ucraina. “Senza amore, che cosa offriremo al mondo? Tante cose domandiamo al Signore. Ma spesso dimentichiamo di chiedergli ciò che è più importante e che lui desidera darci. Lo Spirito Santo, la forza per amare”. Dietro queste parole c’è la chiara concezione della Chiesa “ospedale da campo”.Spesso i mass media ricorrono a slogan o semplificazioni nel tentativo di sintetizzare l’idea di Chiesa che Francesco ha in mente. Ma per comprendere realmente la novità rappresentata dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio è più utile delinearne il contesto ecclesiale. E individuare il quadro di riferimento su cui si fonda. Non si può capire l’azione di Francesco senza far riferimento al Concilio. E a quanto è avvenuto
nella Chiesa su impulso del Vaticano II negli ultimi decenni. Un Concilio eminentemente ecclesiocentrico. Ecumenico di nome e di fatto. Il riferimento è al fatto che dopo i primi tentennamenti il Vaticano II trovò il fulcro delle sue riflessioni sull’idea di Chiesa. Grazie soprattutto agli interventi del cardinale Léon-Joseph Suenens, arcivescovo di Malines-Bruxelles. E del cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Il Concilio venne persino accusato da qualcuno di “narcisismo ecclesiologico”. Per smontare questa accusa fu necessaria l’allocuzione di Paolo VI nell’ultima sessione pubblica del Concilio il 7 dicembre 1965. Questa quadriennale scuola di pace e dialogo resta come sollecitazione ad allargare lo sguardo. Durante i quasi quattro anni della sua celebrazione la coscienza di gran parte dei partecipanti subì una profonda trasformazione. Per influsso specialmente dei grandi movimenti. Sorti nella Chiesa stessa verso la fine del secolo XIX e nella prima metà del secolo XX . I fattori all’origine di questa trasformazione sono identificati dal teologo argentino don Luis Antonio Gallo. E cioè il ritorno alle fonti bibliche e patristiche. I rinnovati impulsi missionari. Il tentativo di un rinnovamento liturgico. Le aspirazioni verso un genuino ecumenismo. E verso una più piena partecipazione dei laici nella vita e nell’attività della Chiesa.Stesso discorso per i “segni dei tempi” che si manifestarono nella società. Ossia la tendenza verso la personalizzazione. Che portò a mettere la persona come soggetto pensante e libero al centro dell’attenzione. E la tendenza verso la socializzazione. Intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata. Il risultato di tutte queste spinte e tensioni interne al Vaticano II fu che i padri conciliari sentirono il bisogno di abbandonare il modello di Chiesa-istituzione. In vigore dal tempo di Costantino. Ma che veniva ormai ritenuto da molti come superato e inadeguato. A questo abbandono, però, non seguì un vuoto ecclesiologico. Bensì la proposta di un modello di Chiesa-comunione in un primo momento. E poi di quello di “Chiesa-serva-dell’umanità”, secondo l’espressione di Paolo VI. Il primo spostamento trovò la sua formulazione nella Costituzione dogmatica “Lumen Gentium”. E negli altri quattordici documenti che si ispirarono ad essa. E il secondo nella Costituzione pastorale “Gaudium et Spes“. Documento che segna il punto più alto dell’evoluzione conciliare. E che assume quanto di innovativo comportava il precedente. Aprendolo però al servizio de un mondo in pieno processo storico di trasformazione. Prologo della Chiesa in uscita di Francesco. E chiave di lettura dell’impegno ecumenico di pace in Ucraina.