Editoriale

Ecco perché la pace è un dovere di tutti e non può essere delegata

“Dobbiamo essere costruttori di pace“, insegna Jorge Mario Bergoglio. E “le nostre comunità devono essere scuole di rispetto“. Luoghi di dialogo con gli altri gruppi etnici o religiosi. Per imparare a superare le tensioni. A promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali. E costruire un futuro migliore per le generazioni a venire. All’ Assemblea dell’Unione Superiori Generali il Papa ha invocato “artigiani di pace”. Perché “fare la pace è un lavoro artigianale”. Da compiere con passione, pazienza, esperienza, tenacia. E’ un processo che dura nel tempo. La pace, secondo Francesco, “non è un prodotto industriale ma un’opera artigianale“. Non si realizza in modo meccanico. Necessita dell’intervento sapiente dell’uomo. Non si costruisce in serie col solo sviluppo tecnologico. Richiede lo sviluppo umano”. Per questo “i processi di pace non si possono delegare ai diplomatici o ai militari”. La pace è “una responsabilità di tutti e di ciascuno”.
Parole in linea con la “Gaudium et Spes”. La costituzione pastorale espone la dottrina cattolica sui grandi temi. E cioè vocazione dell’uomo, dignità della persona umana. Ateismo, attività umana, matrimonio. Fame, cultura, vita economico-sociale, pace, guerra, comunità dei popoli. All’umanesimo laico, chiuso nell’ordine naturale, viene opposto l’umanesimo cristiano, aperto al trascendente. E’ la concezione teocentrica dell’uomo. Ricondotto a ritrovare se stesso nella luce e nello splendore di Dio. Una visione in cui la ragione della dignità umana consiste nella vocazione dell’uomo alla comunione con Dio. Ne deriva l’invito a tutti gli uomini ad accogliere la luce del Vangelo nel contatto fecondo con il mondo contemporaneo. In una prospettiva d’evangelizzazione e di dialogo ad ogni livello con tutti gli uomini. Un nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea. Pur essendo la stessa di ieri, la Chiesa vive e realizza in Cristo il suo oggi. Ad accomunare gli ultimi pontificati è l’anelito sinceramente ecumenico che spinge a considerare il primato petrino in termini di servizio alla cristianità e non di dominio. Oltre all’impostazione autenticamente universale della missione pastorale del pontefice.
“La sfida della realtà chiede anche la capacità di dialogare, di costruire ponti al posto dei muri– testimonia papa Francesco- Questo è il tempo del dialogo, non della difesa di rigidità contrapposte.” I papi sono tutti “artigiani di pace”. E rappresentano tutti una parte di una storia organica e continua. Le accentuazioni proprie di ciascun pontefice non sono altro che puntualizzazioni e richiami. Per una attività apostolica più incisiva e rispondente alle esigenze del momento. L’eredità conciliare  consiste nella continua ripresa dei testi e dello spirito conciliare. Incarnandoli nella loro grande testimonianza. La lezione conciliare è forte nell’insegnamento di Francesco. Ed è più presente e più richiamata nell’ evangelizzazione. Come dimostra anche l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium.
C’è una data chiave per comprendere pensiero e azione di pace di Jorge Mario Bergoglio. 8 giugno 2014. “Invocazione per la pace” in Terrasanta di Papa Francesco e i presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas nei Giardini Vaticani. Francesco offre la Chiesa al mondo moderno con una coraggiosa apertura. “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra– esorta il Pontefice-. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro. Sì al dialogo e no alla violenza. Sì al negoziato e no alle ostilità. Sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni. Sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo. “Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso- sottolinea il Papa-. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso. Rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali. Cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione”.
Giacomo Galeazzi

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