In Asia sud-orientale e in Oceania Francesco è impegnato nel 45esimo viaggio del suo pontificato. Dodici giorni di durata e 33 mila chilometri di percorrenza attraverso Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. L’obiettivo della missione papale è portare a tutti la gioia, la consolazione e la speranza del Vangelo. Dalle periferie geografiche ed esistenziali alla “santità della porta accanto”, quella da scoprire nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza.
“La testimonianza di una condotta cristiana virtuosa, vissuta nell’oggi da tanti discepoli del Signore, è per tutti noi un invito a rispondere personalmente alla chiamata ad essere santi – afferma Jorge Mario Bergoglio -. Sono dei santi della porta accanto che tutti conosciamo. I santi sono perle preziose; sono sempre vivi e attuali, non perdono mai valore, perché rappresentano un affasciante commento del Vangelo. La loro vita è come un catechismo per immagini”. Al contrario l’indebolimento della fede e di una spiritualità cristiana incarnata favorisce lo scollamento tra la dimensione religiosa della vita del credente e il suo impegno sociopolitico. A lungo andare, ciò asseconda il secolarismo dei movimenti sociali di ispirazione cristiana rispetto ai valori evangelici e all’esperienza di una fede vissuta profondamente, mediante una spiritualità incarnata. Ciò finisce per generare il disfacimento di una formazione e di una mentalità cristiane, ma anche la frammentazione della identità dei cattolici. Si diffonde così il convincimento che la propria fede non includa una vera e propria vocazione al sociale e alla politica.
Da ciò deriva la tentazione di vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Il convincimento base è: nulla di nuovo e di rivoluzionario può derivare dalla propria fede per la società e per il mondo. Francesco insegna a rivitalizzare la democrazia non solo ascoltandosi, dialogando, praticando un discernimento della realtà alla luce della Parola di Dio, bensì condividendo prospettive pratiche, con una rinnovata speranza politica che dovrà trovare incarnazioni adeguate. Serve il rilancio di una nuova evangelizzazione del sociale, quale grembo evangelico e culturale che alimenta le radici della democrazia sostanziale.
Solo una nuova evangelizzazione del sociale favorirà l’elaborazione di un nuovo pensiero e di una nuova cultura politica, a fronte della complessità globale, della terza guerra mondiale a pezzi, delle epidemie, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, della cultura dello scarto. Una nuova evangelizzazione del sociale consentirà di aggiornare l’insegnamento sociale della Chiesa, la cui ricchezza, come testimonia Francesco, dev’essere condivisa, moltiplicando gli sforzi per una formazione all’impegno sociale e politico che parta dai giovani. Secondo il Papa, la grandezza della politica si mostra quando opera sulla base del bene comune a lungo termine, attento alle generazioni presenti, ma soprattutto a quelle future. È grande la politica che non pensa solo ai risultati elettorali immediati. Di una grande politica ha bisogno la società mondiale che, per le sue riforme strutturali, non necessita di rattoppi, ma di soluzioni lungimiranti. La grande politica, la vera politica, ha bisogno dell’amore politico. Esso ci fa amare il bene comune e ci fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, lungo l’asse che va dall’io al noi, e viceversa, secondo una circolarità che alimenta la comunione delle persone e dei popoli del mondo. Non è un sentimento sterile. È molto di più di un sentimento soggettivo, perché si accompagna all’impegno per la verità.
Proprio per il suo rapporto con la verità favorisce un dinamismo universale ed è base di una civiltà dell’amore. Senza la verità, l’emotività si vuota di contenuti sociali oggettivi. La carità per essere maggiormente sé stessa ha bisogno di verità, quella della ragione e quella della fede. La vita personale e comunitaria, la vita democratica immiseriscono, specie quando domina la pretesa di appartenere solo a sé stessi e si vive come tante isole senza ponti di collegamento. Le persone non sono fatte per vivere nelle metropoli dell’indifferenza o sulla tomba delle comunità. Sono fatte per amare, per comunicare, per la comunione fraterna, per il dono reciproco e disinteressato. Sono chiamate ad uscire da sé stesse per formare dei “noi”, per trovare negli altri un accrescimento d’essere. Per questo la democrazia ha come obiettivo non solo quello di liberare sé stessi dalle catene ma anche di liberare tutti gli altri compagni di viaggio dalle molteplici schiavitù. Nelle estreme periferie del pianeta come nelle nostre strade.