Nell’umanità che si muove verso l’autodistruzione, c’è il volto di coloro che sono fuggiti da terre inospitali e non hanno mai raggiunto la loro “terra promessa”. Ormai non è da tempo un “fenomeno” di straordinaria portata, ma una precisa scelta politica ed economica quella di spingere le persone dalle loro Comunità e generare un’emergenza umanitaria senza soluzione di continuità e con un elevato tasso di intolleranza.
Tutto ciò è già inaccettabile, ma diventa insopportabile se nel volto di chi riesce ad arrivare sulla nostra terra c’è il dramma di aver visto guerre, torture, ingiustizie e naufragi…la morte nei loro occhi è la morte dell’umanità intera.
La cronaca ci consegna in queste ultime settimane una escalation di traversate, sbarchi e morti. E mentre ciò avviene, la nostra attenzione è distratta da altre emergenze, quelle che incombono sulla nostra testa e che non possiamo più far finta di vedere.
Così, mentre i ghiacciai si sciolgono, le temperature crescono, gli incendi distruggono i polmoni verdi naturali… guardiamo con distacco e con sospetto queste donne, uomini e bambini che arrivano sui barconi e non riusciamo a pensare alle ragioni che li spingono a questi gesti disperati.
Forse non pensarci ci aiuta a sentirci meno responsabili o per nulla responsabili, ma sono proprio le nostre scelte quotidiane a costringere quegli esseri umani ad una vita così estrema e molto spesso drammatica.
Non si tratta neppure di contare il triste conto dei morti in mare o dei profughi che ogni giorno arrivano sulle nostre coste, ma si tratta di “vedere” le ragioni per cui si è costretti a fuggire dalla propria casa, dalla propria terra, dai propri cari.
Non mi ha sorpreso – ancora una volta – la lucidità e la lungimiranza di Papa Francesco, quando qualche giorno fa ha rivolto un messaggio apparentemente banale ai giovani: «E’ opportuno consumare meno carne: anche questo può contribuire a salvare l’ambiente», scrive il Papa, evidenziando le conseguenze degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale. Si, perché gli interessi economici che stanno distruggendo le foreste in Africa e America latina, per impiantare gli allevamenti intensivi, sono proiettati al grande consumo di carne del mondo occidentale e non si interessano dei danni agli ecosistemi naturali di quei Paesi e all’impoverimento delle popolazioni locali, costrette ad emigrare per sopravvivere alle violenze e alle carestie.
Ci sono luoghi ormai del tutto desertici ed altrettanti segnati dalle inondazioni: sono luoghi in cui non si può più vivere e si allargano sempre di più: quando l’essere umano capirà di stare portando il mondo all’autodistruzione? Fino a quando non daremo di nuovo ad ogni essere umano la possibilità di vivere dignitosamente nella propria terra, nessuna scusa ci sarà per sottrarsi al “giudizio finale”: presto o tardi quei milioni di persone che abbiamo ingiustamente condannato all’oblio ci chiederanno conto del male che abbiamo fatto loro.
E non saranno certo i “Centri di accoglienza” di ogni natura e dimensione a poter contenere il flusso di persone che chiedono solo una vita migliore…non sono “clandestini”, bensì esseri umani.
L’escalation di conflitti in ogni parte del mondo è il segnale che ci sono persone che pensano di sopravvivere a discapito di altre persone, ma la logica del “chiodo schiaccia chiodo” non è lungimirante, solo affascinante, affabulatrice, suadente…ma presto o tardi ci troveremo dalla parte del chiodo schiacciato e non avremo scampo a quel punto.
Mentre si susseguono gli arrivi, si riempiono gli hotspot, si mobilita la macchina degli aiuti, è tempo di riflettere seriamente non su una politica di respingimenti, bensì su come offrire un’alternativa perché tutto ciò si fermi e si ristabilisca un equilibrio mondiale fondato sulla giustizia umana e sociale.