Luogo più simbolico non poteva essere scelto: la capitale di uno dei pasi baltici, quelli che appena furono indipendenti ci misero un battito di ciglia a chiedere di entrare. Anzi, quella Vilnius dove una collina coperta da un bosco di croci ricorda l’identità nazionale e i 13 coraggiosi finiti sotto i cingolati sovietici ai tempi di Mikhail Gorbaciov. Con la Russia in difficoltà sul fronte del Dnepr, con la Svezia e la Finlandia che abbandonano la loro pluridecennale neutralità e serrano le porte del Baltico alla flotta di Putin, tutto sembrava presagire il meglio per l’Alleanza Atlantica alla vigilia di questo vertice. Mai così grandi, mai così forti. L’invasione russa del febbraio 2022 è stata il rilancio di un’alleanza che pochi anni prima veniva data, sotto Donald Trump, in stato di morte cerebrale.
Il vertice di Vilnius, invece, ancor prima di iniziare segna una doppia battura d’arresto per le facili profezie di un futuro senza ombre. Gli alleati degli Stati Uniti (persino il Canada) si sono opposti all’invio delle armi a grappolo all’Ucraina, che invece Biden in persona aveva autorizzato. Poi lo stesso Biden ha gelato le speranze di Zelensky (avanzate più come un ultimatum che non un auspicio, in realtà) per un rapido ingresso di Kiev nel Patto Atlantico. La spiegazione è relativamente semplice: la guerra probabilmente è entrata nella sua fase finale, si prepara il dopoguerra. In altre parole: gli assetti che sono stati immaginati finora sono probabilmente assai diversi da ciò che il futuro ci porterà. Qualcuno lo spieghi a Zelensky, perché Biden l’ha già capito benissimo. Ecco allora l’Europa tacciata, in buona parte ingiustamente, di essere stata troppo prona alle indicazioni americane, che si risveglia: la differenza tra il 1945 e il 2023 la fa un’entità chiamata Unione Europea, quella che per l’ambasciatrice di Obama a Kiev poteva “andare a quel paese” (traduzione edulcorata, la nostra). Invece proprio questa guerra ha ridato, nel modo peggiore ma non stava a noi decidere, centralità al Vecchio Continente. Sono decenni che auspichiamo un’Europa che parla con una voce sola in politica estera: eccoci accontentati nel no alle armi a grappolo pronunciato all’unisono da Spagna, Italia, Germania e tutti i partner fondamentali dell’Unione. Finalmente. Si spera che altri esempi di questa stessa matrice seguano nei prossimi anni, nel frattempo è stato battuto un colpo, e che colpo. Sovrapporre Ue e Nato da oggi è meno facile.
Intanto, si diceva, Biden ha gelato le prospettive di ingresso immediato dell’Ucraina. Non possiamo dargli torto: far aderire un paese che ha in corso un contenzioso di questo genere con una superpotenza nucleare vuol dire poggiare il collo sul ceppo dell’Armageddon. Zelensky ha dato troppo spesso l’idea di non accontentarsi degli aiuti occidentali, ma di cercare semmai che gli occidentali combattessero per lui la sua guerra e quelle future. Ecco il risultato. Anche qui le logiche metternichiane dell’equilibrio tra le potenze nel nostro Continente si sono imposte sulle fughe in avanti. Non è per nulla detto che sia un errore. Nessuna crisi della Alleanza, quindi, ma nemmeno nessuna espansione incontrollata, dettata da quella hybris che, dopo il 1989, spinse noi occidentali a imporre alla Russia modelli capitalistici cui non era preparata, aprendo la strada a Putin e ai suoi oligarchi. Qualcosa lo abbiamo imparato, pare. Meno male.
A Vinius la Nato celebrerà sé stessa, e ci uniamo al coro: è alleanza di democrazie e questo la rende più resiliente di qualsiasi altra alleanza al mondo. La vicenda ucraina dimostra che la proclamazione della sua morte cerebrale era in realtà un annuncio quantomai esagerato. Resta il problema di un certo riequilibrio tra le due sponde dell’Atlantico: il Regno Unito anche in questi mesi di guerra ha cercato di proporsi a Washington come unico vero partner affidabile. Sulle prime c’è riuscito, alla lunga si va evidenziando il suo isolamento, non più splendido come una volta. L’Europa continentale, a dispetto di sé stessa, sta compiendo un altro passo verso l’unità. La foresta cresce senza fare rumore, l’albero crolla fragorosamente ad est del Dnepr. Ma – attenzione – a voler trarre una morale da tutto questo, si dovrà ammettere che la morale è questa: processi lenti e graduali, senza forzare la mano. Vale per il rafforzamento delle strutture dell’Unione Europea, vale l’allargamento dell’Alleanza Atlantica. E per la frettolosa Ucraina (qualcuno a Washington pare averlo capito), il futuro non è ancora Nato.