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No all’eutanasia perché inguaribile non significa incurabile

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Il Buon Samaritano che lascia il suo cammino per soccorrere l’uomo ammalato è l’immagine di Gesù Cristo che incontra l’uomo bisognoso di salvezza e si prende cura delle sue ferite e del suo dolore con «l’olio della consolazione e il vino della speranza”, comincia così la la lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita che ha riacceso il dibattito sul fine vita, ribadendo la contrarietà all’eutanasia tessendo un vero e proprio inno alla vita.

Un passaggio significativo e quello in cui si legge: “guarire se possibile, aver cura sempre. Quest’intenzione di curare sempre il malato offre il criterio per valutare le diverse azioni da intraprendere nella situazione di malattia “inguaribile”: inguaribile, infatti, non è mai sinonimo di “incurabile”, sono le parole del cardinal Sgreccia che è mancato da poco tempo, grande amico della comunità Papa Giovanni XXIII, maggior esperto di bioetica della Santa Sede. Lui ripeteva questo concetto che contrasta con la cultura dominante che vede un malato inguaribile come uno scarto, anzi peggio ancora, un costo per la sanità. Ed invece inguaribile non significa, appunto incurabile e quindi noi dobbiamo fare di tutto per curare la persona, senza accanimento terapeutico, ma utilizzando tutte le risorse mediche e soprattutto umane per aiutare queste persone.

Mi vengono in mente innanzitutto gli anziani non autosufficienti che hanno diritto di vivere nelle loro famiglie quando è possibile, oppure anche attraverso lo strumento, ad esempio, dell’affidamento degli anziani ad una famiglia altra, ovviamente con tutto l’impegno che richiede un malato di questo tipo. Spesso gli anziani non autosufficienti possono essere curati in casa, il sistema sanitario nazionale è organizzato per l’assistenza domiciliare e con la pandemia questo tipo di vicinanza al malato è stato potenziato. E’ necessario poi prevedere anche un aiuto concreto, di tipo economico, a tutti coloro che si prendono cura degli anziani.

L’Italia in questo, bisogna dirlo, ha un’attenzione alla cura della persona maggiore di tanti altri Paesi europei e questo grazie alle sue radici cristiane che riconosce dignità alla vita a prescindere dall’età o dalle condizioni umane. In Europa del Nord non è lo stesso, lì ad esempio non fanno nascere più i bambini con sindrome di down perchè rappresentano un costo sanitario.

E’ necessario mettere il dono della vita al centro, sempre. E la Samaritanus bonus lo ribadisce con grande chiarezza: la speranza è possibile anche quando la vita è più fragile. Questo si applica agli anziani, ai malati, ai bambini non nati: “la cura della vita è dunque la prima responsabilità che il medico sperimenta nell’incontro con il malato. Essa non è riducibile alla capacità di guarire l’ammalato, essendo il suo orizzonte antropologico e morale più ampio: anche quando la guarigione è impossibile o improbabile, l’accompagnamento medico-infermieristico (cura delle funzioni fisiologiche essenziali del corpo), psicologico e spirituale, è un dovere ineludibile, poiché l’opposto costituirebbe un disumano abbandono del malato”.

La vita è un dono e tutti noi dobbiamo rispettarla a aiutarci gli uni gli altri a renderla degna. Tutti possiamo contribuire alla felicità di ciascuno, qualsiasi sia la condizione in cui vive. Come ha spesso detto Papa Francesco la vita è sacra, va custodita ed apprezzata affinché ognuno abbia risposta ai bisogni fondamentali, cercando di camminare insieme, come un popolo. Mettere al centro la persona e non l’eutanasia che resta un crimine e un peccato grave.

Paolo Ramonda: