Chi vincerà le primarie democratiche del 22 giugno, avrà fatto un passo importante per diventare sindaco di New York. Nella Grande Mela questa volta non hanno un concorrente credibile, come ai tempi di Giuliani o di Bloomberg. E allora potrebbe anche capitare, dopo una ininterrotta sfilza di 109 sindaci uomini, che New York possa avere una prima cittadina donna.
La corsa per la poltrona oggi di Bill de Blasio è molto serrata. In testa ai sondaggi sono in cinque. Eric Adams, 60 anni, attuale presidente del distretto di Brooklyn, è ancora avanti, ma a sorpresa negli ultimi giorni ha fatto un balzo in avanti Kathryn Garcia, 51 anni, ex commissario del Dipartimento dei servizi igienico-sanitari della città. Una donna energica da oltre vent’anni impegnata con ruoli di responsabilità nella complessa macchina amministrativa newyorkese. Dalla sua l’apprezzamento, se non l’endorsement, del New York Times e del New York Daily News. Ormai è alla pari con quello che finora era stato il secondo nei sondaggi, l’imprenditore filantropo di origine taiwanese, Andrew Yang. Un 46enne con a disposizione grandi risorse finanziarie e che nel suo curriculum può vantare di aver sfidato Joe Biden nella corsa alla candidatura per le presidenziali 2020 per il Partito democratico. Sul versante ultra-progressista segue nelle preferenze Maya Wiley, 57 anni, attivista afroamericana. In suo favore si è schierata la parlamentare eletta a New York e vera icona progressista, Alexandria Ocasio-Cortez. Ma le candidate hanno tratto vantaggio anche dalle difficoltà del candidato liberal Scott Stringer, 61 anni. Sono due le donne che lo hanno pubblicamente accusato di cattiva condotta sessuale.
L’impennata di consensi in favore di Garcia e di Wiley segnala un cambiamento di rotta anche a livello di scelte politiche. Sempre più elettori riconoscono importanti qualità femminili come la capacità di collaborare, coordinare e lavorare insieme alle persone. Nonostante la sua reputazione di metropoli liberal, New York è indietro di anni rispetto ad altre grandi città degli Stati Uniti come Chicago, Houston, Seattle, Atlanta e Phoenix tutte già guidate da donne. Tra le 100 città più grandi del paese, 32 hanno sindaci donna, secondo i dati del Center for American Women in Politics della Rutgers University. Ma New York non è da sola, anche Los Angeles e Philadelphia non hanno mai avuto un sindaco donna. Boston ha insediato la sua prima donna sindaco, Kim Janey, soltanto a marzo scorso, quando Marty Walsh ha lasciato per diventare ministro del Lavoro dell’amministrazione Biden.
“Forse New York non è una città così liberale come ci piace immaginare”, ha detto Ruth Messinger, che fu la prima donna candidata democratica a sindaco nel 1997, ma che venne battuta da Giuliani. A New York finora ha sempre prevalso l’influenza storica delle macchine del partito e dei sindacati, non favorevole alle donne. E una barriera è sempre stata la raccolta di fondi per la campagna elettorale. “Per avere successo a New York devi essere ambizioso, aggressivo, duro, combattivo”, ha rimarcato Christine Quinn, candidato alle primarie dem nel 2013, ma battuta da De Blasio. “Queste caratteristiche – continua Quinn – quando le ha una donna, è considerata una carogna. Quando le ha un uomo è considerato un ‘fico’ e ha un successo incredibile”.
Le prossime primarie sono difficili da decifrare, perché il sistema è cambiato. Per la prima volta, vengono condotte con il voto a scelta classificata, consentendo agli elettori di selezionare un totale di cinque candidati classificandoli per preferenza. Ciò significa che il vincitore finale potrebbe non ottenere il maggior numero di voti di prima scelta. Ma Quinn ammette anche una debolezza: “Ho cercare di ammorbidire la mia immagine per renderla più appetibile agli elettori. Un grande errore. Ho finito per sembrare non autentica. E non c’è niente che gli elettori odiano di più del non essere autentici”. Garcia ha mostrato la grinta, quando Yang ha detto che la vorrebbe avere come collaboratrice per gestire la città. Garcia ha bollato l’affermazione come sessista. “Vuoi dire – ha replicato in un’intervista al New Yorker al compagno di partito – che non sei abbastanza forte per fare bene questo lavoro, senza che io ti aiuti? Per essere molto chiari: io non ho bisogno di voi ragazzi per gestire questa città”. La consigliera comunale uscente Helen Rosenthal, che sostiene la campagna di Wiley, non è stupita per le parole di Yang: “La pensano così un sacco di uomini e credo che questo spieghi perché è così difficile far eleggere le donne”. Wiley dal canto suo ha avuto da ridire su una battuta del suo competitor Adams, che è un ex poliziotto. Quando Adams l’ha invitata, come tutti i suoi critici, a “tacere” rispetto ai poteri dei poliziotti, Wiley è sbottata: “Sono abituata agli uomini che mi dicono di stare zitta. Ma non lo faccio”.
Pur basandosi principalmente sulla loro esperienza politico-amministrativa e sulle loro posizioni politiche sicuramente radicali, le candidate hanno messo in luce il loro potenziale per creare una soluzione di continuità nella storia. Il primo spot della campagna di Garcia aveva come titolo “Break Glass” (un po’ come aveva detto Marta Cartabia nel momento della sua elezione a presidente della Corte Costituzionale) e la mostrava mentre rompeva una gabbia di vetro, dopo aver applicato gli occhiali di sicurezza. Come hanno detto le donne della National Organization for Women’s di New York, che sostengono Wiley: “Dopo 109 sindaci maschi in 356 anni, è tempo che una donna guidi la città. Facciamo la storia”. E comunque, sebbene le donne siano la maggioranza dell’elettorato, in realtà non hanno mai votato in blocco. Si sono frammentate su linee razziali o ideologiche. Insomma, non sono mai state compatte e allora ammette un’attivista: “Se stai correndo con lo slogan ‘È tempo per una donna’, tu devi considerare che hai ancora bisogno di attrarre almeno alcuni uomini”. Che sia vero o no, lo slogan del 2021 sembra soprattutto uno: “Donne, è ora di uscire e di votare. Questa è la nostra elezione. Possiamo vincere”.