Nessuno si salva da solo e nessuno è libero finché qualcuno è schiavo. Ho un sogno che mi accompagna di notte lungo le strade della prostituzione ed è quello di vedere effettivamente abolita la schiavitù. Certo, ufficialmente la tratta degli schiavi non esiste più dal 23 febbraio 1807 quando fu cancellata a larga maggioranza (cento voti contro trentasei) dal Parlamento inglese, cuore della super potenza coloniale dell’epoca. Tutti sappiamo poi che alla fine del XIX secolo un po’ tutti i Paesi del mondo hanno messo al bando l’asservimento degli esseri umani.
In realtà basta confrontare la pratica con la teoria per accorgersi che non è così. Sui marciapiedi delle nostre città sembra scolpita una condanna antropologica: quella di trasformare la sopraffazione in una modalità di relazione sociale. Le “donne crocifisse” rispecchiano tragicamente l’umana deriva dell’acquisto, dello sfruttamento, dell’appropriazione indebita di altri esseri umani. È come se l’uomo non sapesse evolvere verso una fattuale, intangibile parità di dignità. C’è sempre bisogno psicologicamente, strutturalmente, di qualcuno da sottomettere.
“La schiavitù è una pianta infestante che cresce su ogni terreno”, scriveva a metà Settecento Edmund Burke. Quanto sia attuale la riflessione del filosofo britannico lo dimostrano proprio la tratta e il racket della prostituzione coatta. Nessun angolo del globo ne è immune: paesi d’origine, di transito e di destinazione. La schiavitù è stata abolita per legge ma non nei fatti. Ha cambiato pelle ma i più deboli sono sempre a rischio assoggettamento. Tante persone povere sono costrette a lavorare sottopagate o senza essere pagate affatto. Le vittime della tratta sono asservite ai mercanti di esseri umani che le degradano a bancomat nelle strade del mercimonio. Intanto i nuovi schiavi del web disseminano di sofferenza la servitù occulta nel mondo della rete. Cambiano le epoche ma resta l’indole dell’uomo di volere sfruttare e approfittarsi dei più fragili per sottometterli.
Il Papa testimonia l’urgenza di lavorare affinché nessuno renda schiavo un altro. La schiavitù non è una realtà del passato e oggi, nella “Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù”, l’Onu si appella alla coscienza individuale e collettiva. Sono trascorsi 75 anni da quando le Nazioni Unite hanno approvato la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione. Da allora resta ancora lontano l’obiettivo di una società rinnovata e orientata alla libertà, alla giustizia e alla pace. Anzi le forme di disuguaglianza e discriminazione si sono moltiplicate di pari passo con la globalizzazione dell’indifferenza. Vanno adottate, dunque, misure più incisive per sconfiggere l’asservimento.
Secondo i dati del “Global Estimates of Modern Slavery”, tra lavoro forzato e matrimonio forzato, nel mondo 50 milioni di persone (in maggioranza donne e minori) sono ridotte in schiavitù. “Un numero in continua crescita”, avverte il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ricordando che “l’eredità della tratta transatlantica degli africani ridotti in schiavitù lascia una cicatrice sulle nostre società e impedisce uno sviluppo equo”.
Le forme di schiavitù contemporanee sono il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile, i matrimoni forzati e l’uso di bambini nei conflitti armati. I più vulnerabili sono le minoranze etniche, religiose e linguistiche, i migranti, i bambini. Solo una mobilitazione comunitaria può sradicare un fenomeno così diffuso. C’è bisogno della piena partecipazione del terzo settore, dei sindacati, della società civile e le delle istituzioni che promuovono i diritti umani. “Gli schiavi di oggi cambiano di geografia, modalità e colore, ma la schiavitù si adatta ogni volta di più – afferma Francesco -. Ci sono sempre più schiavi. Tante forme di schiavitù sono dissimulate, non si conoscono, sono nascoste. Nelle megalopoli come Roma, Londra, Parigi, ovunque, ci sono nuove schiavitù”. Servono opportunità di educazione e di lavoro. Nessuno può lavarsi le mani se non vuole essere, in alcun modo, complice di un crimine così efferato contro l’umanità”, ribadisce il Pontefice.
Le vittime della prostituzione coatta sono le moderne schiave e finché non saranno liberate non potrà essere dichiarata la concreta, effettiva abolizione della schiavitù. Ci sono altre odiose forme di asservimento che hanno sempre come bersaglio le persone più fragili e indifese, ma la tratta del mercimonio coatto ha questa peculiarità: si distrugge la libertà di un individuo per farne uno strumento dei propri istinti più primordiali, eticamente riprovevoli, socialmente distruttivi. Il costo personale e collettivo della tratta grava come un macigno sulla nostra civiltà cosiddetta post-moderna, ma sempre agganciata alla zavorra di condotte violentemente primitive. Mai più persone in vendita! Per nessun motivo, con nessun pretesto, per nessuna ragione al mondo. Se tutti hanno un costo, nessuno ha valore. Deve esserci una sfera infrangibile di decoro personale, di salvaguardia collettiva del patrimonio morale di ciascun individuo, di orgogliosa difesa del bene comune superiore della vita. “Non esiste una libertà lenta. La libertà è come una nascita. Finché non siamo pienamente liberi, siamo schiavi”, dice Gandhi.