Qualcosa in questa brutta storia dove una ragazzo ha trovato la morte non quadra. Prima ancora di attribuire singole responsabilità alle persone, che siano rappresentanti delle forze dell’ordine, medici o infermieri, va fatta una riflessione proprio sul meccanismo che scatta quando accadono certi episodi. La chiusura a riccio delle corporazioni, che nega spesso il principio del dubbio – fondamentale per giungere a qualsiasi verità – è l’atteggiamento più comune. La persona diventa così due volte vittima, sommando la perdita della libertà – o, come nel caso di Stefano Cucchi, addirittura della vita – alla difficoltà di fare piena luce su quanto le è accaduto.
“Mi aspetto che mio fratello, morto per ingiustizia, abbia giustizia”, ha detto Ilaria Cucchi prima di entrare insieme con i genitori nell’ufficio del procuratore della Repubblica di Roma. Ha mostrato una gigantografia che ritrae il fratello morto: “Questa è l’insufficienza di prove, lo Stato non ha saputo garantire i diritti di mio fratello da vivo, ed ora non è in grado di dire chi l’ha ridotto così. Basta guardare questa foto e riflettere”.
Il punto della questione è proprio questo: uno Stato di diritto deve garantire a qualunque persona che decidesse di prendere in custodia, sia essa carceraria oppure ospedaliera, i diritti fondamentali alla vita, all’assistenza, alla salute. E tutto, ovviamente, andrebbe fatto senza distinzioni di censo, ma non sempre accade.
E per evitare di far pensare di essersi inventata la storia del fratello picchiato, Ilaria ha srotolato un altro striscione: “Questo ragazzo non somiglia nemmeno lontanamente – ha detto mostrando una foto in cui è sorridente e in buona forma – a questo uscito di casa sei giorni prima vivo e sulle sue gambe. Stefano è stato pestato e ci aspettiamo che il procuratore assicuri i responsabili alla giustizia”.
L’assurdità per cui nessuno è responsabile della morte di una persona è forse la scintilla che ha fatto esplodere la protesta popolare sul web; nessuno ha visto né fatto nulla di male. Molto dura da digerire come “verità”: medici, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria e infermieri ignari della sorte che stava capitando a un ragazzo sotto i loro occhi. Anzi di più: affidato alla loro responsabilità.
In questo caso non conta il piccolo reato di cui eventualmente Cucchi era colpevole, conta l’incapacità di proteggere i cittadini. E la paura che proprio lo Stato possa trasformarsi in carnefice. Resta il coraggio della sorella e dei genitori che lottano per raggiungere la verità, che in certi casi diventa sinonimo di Giustizia. E ormai non è più solo la loro battaglia, ma è l’aspettativa di un’intera nazione – tranne pochi – perché Stefano è entrato nel cuore della gente, perché quel ragazzo avrebbe potuto essere fratello, figlio o cugino di chiunque, e infine perché se anche qualcuno sbaglia non può e non deve pagare con la vita i propri errori. La forza dell’amore di Ilaria alla fine avrà i suoi frutti.