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Un Natale di sopravvivenza o di speranza?

Non c’è un momento della vita in cui una persona sia sola, già dal momento del concepimento, c’è una unione completa fra il nascituro e la madre. Sempre nella vita quella persona cercherà la relazione con altre persone e sempre ci saranno persone significative per camminare insieme. Grande importanza ha la persona, ogni persona, in tutte le fasi della sua vita e anche quando procede verso la fine di essa mantiene un ruolo essenziale per i suoi congiunti e per l’intera umanità. Pensiamo a quante persone avanti con gli anni hanno ancora compiti importantissimi nella nostra società, sono stimati, ascoltati, seguiti.

Capita però sempre più spesso che le persone anziane non trovino spazio nelle relazioni umane e capita frequentemente che nessuno scelga di occuparsi di loro e si trovino improvvisamente SOLI. Una solitudine che rappresenta un dolore enorme per chi la vive e un’occasione perduta per chi la procura. L’abbandono delle persone anziane, quasi sempre in strutture ghettizzanti, procura una frattura sociale che nessun altro può ricomporre. Con la loro emarginazione, muore un modello di Comunità inclusiva, partecipata, dinamica. Senza di loro spariscono interi paesi, si svuotano i luoghi di aggregazione sociale, si perde la memoria affettiva.

Questa dinamica sociale è fortemente evidenziata in tempi di emergenza come quello attuale, la vediamo in maniera crudele con le immagini dalle terapie intensive ospedaliere o con quelle delle residenze assistenziali. Muoiono più facilmente le persone anziane e muoiono da sole. Muoiono dentro, nel cuore prima che nel corpo. Si spengono perché sono private della gioia della relazione, degli affetti, di un abbraccio. Mentre nel mondo, nelle case, si accendono le luci di Natale, si scaldano i cuori per un bambino che viene o addirittura si favoleggia ai bimbi che c’è un “vecchio” Babbo Natale che porta i regali, ci sono i “vecchi” nonni affaticati e complicati che sono lasciati soli nelle loro case, nelle strutture residenziali, negli ospedali.

Le luci che si accendono a Natale non si alimentano alla fonte dell’Amore, bensì hanno bisogno di luce artificiale per brillare, perché sono frutto di una cultura dello scarto che punisce chi è più fragile e impoverisce le Comunità familiari e territoriali. Come vivranno il Natale i nostri genitori e i nostri nonni? Sarà un Natale di “sopravvivenza” o potrà essere finalmente un Natale di Speranza? Sicuramente sarà un Natale triste, privo di relazioni umane, privo della storia, della memoria, dei racconti dei nostri anziani, privo delle antiche tradizioni che si sono tramandate di generazione in generazione. Un caro amico, presidente dell’“Associazione Nazionale Lavoratori Anziani” mi ha emozionato sottolineando il fatto che l’anzianità sia la stagione del dono, la stagione del dialogo.

Anche Papa Francesco ha lanciato un monito, evidenziando come le persone anziane, sul piano sociale, non vanno considerate come un peso, ma per quello che sono veramente, cioè una risorsa e una ricchezza. Sono la memoria di un popolo! Ma sono anche un valore per la società, spesso si impegnano con le energie che possiedono per aiutare chi è più fragile ed in questo modo sviluppano un antidoto contro la solitudine, migliorano la loro qualità di vita mentre sostengono altre persone. Considerando e vivendo la vecchiaia come la stagione del dono e la stagione del dialogo, si contrasterà lo stereotipo tradizionale dell’anziano: malato, invalido, dipendente, isolato, assediato da paure, lasciato da parte, con una identità debole per la perdita di un ruolo sociale. In pari tempo, si eviterà di focalizzare l’attenzione generale prevalentemente sui costi e i rischi, dando più evidenza alle risorse e alle potenzialità degli anziani. Purtroppo, tante volte si scartano i giovani, perché non hanno lavoro, e si scartano gli anziani con la pretesa di mantenere un sistema economico “equilibrato”, al centro del quale non vi è la persona umana, ma il denaro. E questo non va.

Il futuro – e questo non è esagerato – sarà nel dialogo fra giovani e anziani. Se i nonni non dialogano con i nipoti, non ci sarà futuro. Siamo tutti chiamati a contrastare questa velenosa cultura dello scarto. Siamo chiamati a costruire con tenacia una società diversa, più accogliente, più umana, più inclusiva, che non ha bisogno di scartare chi è debole nel corpo e nella mente, anzi, una società che misura il proprio “passo” proprio su queste persone. “Resta con me” è un desiderio di eternità che è innato in ciascuno di noi, che è molto più forte quanto più vicina è la fine della vita: è un grido che si alza forte da tutte le periferie esistenziali, che i nostri anziani urlano per ricordarci di loro, per essere ancora parte della nostra vita, per poterci coccolare e sostenere nei momenti bui della vita, per prendersi cura dei “figli dei loro figli”. Nel Natale che arriva, troviamo il tempo di restare con loro, di non abbandonare nessuno e di non lasciare che nessuno lasci questa terra da solo.

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