“Li ho uccisi perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia”. Sono state le prime parole utilizzate da Marco, il presunto assassino dei due fidanzati di Lecce, Daniele ed Eleonora, per giustificare il suo gesto.
Sessanta coltellate, un piano studiato nel dettaglio anche se non ultimato fino in fondo: avrebbe dovuto prima torturarli e poi ucciderli, lasciando nell’appartamento una scritta dimostrativa.
Il decreto di fermo parla di “spietatezza”, di “compiacimento sadico”, ora la giustizia farà il suo corso e si accerteranno le ipotesi investigative, un processo stabilirà la verità giuridica e le colpe del ragazzo di 21 anni, aspirante infermiere.
Quello che però merita una riflessione sono proprio quelle motivazioni utilizzate durante la confessione per giustificare l’omicidio: “Erano troppo felici”. Può l’invidia portare a compiere un gesto così estremo? Può essere considerato un motivo per uccidere?
Colpisce sentire un ragazzo appena ventenne trovare consequenziale provare rabbia e dunque agire per punire/rimuovere la fonte di quell’emozione. Che società è quella in cui tutto questo è possibile, dove l’invidia è un movente e la violenza un sollievo?
Sono tante le domande, le inquietudini, che nascono dopo un fatto del genere. Un fatto che arriva dopo una sequela di episodi di cronaca dove la rabbia, la violenza, i soldi sono stati i tristi co-protagonisti: penso ai fratelli Bianchi e al giovane Willy; all’uccisione del sacerdote a Como; allo stupro di due ragazzine a Pisticci… e l’elenco potrebbe facilmente allungarsi.
E allora bisognerebbe provare a specchiarsi, almeno per un momento, nella società e trovarsi, anzi ritrovarsi. Lì ci siamo anche noi, abitiamo lo stesso mondo in cui accadono questi drammi che si nutrono di cattivi sentimenti, di un individualismo esagerato ed esasperato che non permette all’uomo di crescere attraverso le relazioni con gli altri. Anzi inquina le relazioni che diventano tossiche, mortali.
Quanti sforzi e quanta determinazione nel compiere il male! Perché non utilizzare tutta questa energia per cercare di realizzarsi, di inseguire sogni e mettere in pratica progetti. In questo specchio invecchiato a volte non si vedono che persone sole, una accanto all’altra senza riuscire a farsi compagnia. Questo “io” al centro di tutto occupa qualsiasi visuale e non permette di vedere l’intero: crea un vero e proprio muro che fa vivere le persone rivolte su se stesse, chiuse in un narcisismo malato fatto di apparenza e di like. Gettiamo un ponte accanto a tutti questi “io” e creiamo un noi, basta darsi la mano.