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Morte Raisi: come cambia la guerra mondiale a pezzi

Lo scossone arriverà, ma non sappiamo né quando né in che modo. La morte di Ebrahim Raisi, punta di lancia del fronte intransigente all’interno del regime iraniano, non potrà restare senza conseguenze. Ma in quel gioco di specchi che è la politica degli ayatollah, chissà se mai ce ne accorgeremo. O meglio, ce ne accorgeremo ma non capiremo che dietro c’è la scomparsa di colui che doveva succedere ad Ali Khamenei, terzo nella linea aperta da Ruhollah Khomeini. In altre parole la Rivoluzione fatta persona.

Khamenei ha superato l’ottantina, la situazione interna all’Iran non è quella del 1989. Difficile immaginare che la nuova transizione ai vertici del potere possa aver luogo in modo tranquillo. Del resto non fu così nemmeno la volta scorsa: Khamanei defenestrò i rivali nel nome dell’intolleranza verso il dissenso e non usò metodi da democrazia parlamentare. Figuriamoci adesso: i vertici del potere vedono i due fronti tradizionalmente contrapposti – oltranzisti e moderati – ugualmente saldi ed altrettanto indeboliti. Insomma la situazione più propensa, quando sarà, per uno scontro di particolare durezza mentre sulle piazze potranno ripresentarsi a centinaia di migliaia quei giovani che, a ritmi ciclici, sfidano il regime a costo della vita.

L’ultima ondata, in tempi recenti, ha preso una piega particolarmente preoccupante per le autorità secondo quello schema ciclico (uccisioni, periodo di lutto, ripresa delle manifestazioni, nuove uccisioni) che si impose nel lontano 1979, e portò alla caduta di Reza Palahvi. Tra il 2022 ed il 2023 il regime ha faticato non poco ad aver ragione della piazza; una nuova crisi del genere potrebbe essere molto più difficile da sostenere. Tutto questo, comunque, resta nel campo del futuribile perché – lo si evince anche dalla prudenza mostrata nelle ore immediatamente successive alla morte di Raisi – la parola d’ordine al momento è quella di tenere i nervi saldi. Anche nell’indicare eventuali mandanti esterni, il che ci permette una seconda considerazione.

L’elicottero americano, forse troppo vecchio per il compito che gli era stato affidato, che trasportava il presidente iraniano avrebbe potuto essere importante come la pistola di Gavrilo Princip, che esplose un colpo udito in tutto il mondo. Al momento prevale la calma, si vedrà ancora per quanto, intanto però Hezbollah in Libano perdere il suo principale sponsor mentre anche gli Houthi dello Yemen dovranno probabilmente fare i conti con assetti diversi nelle forniture di missili e droni da lanciare sul Mar Rosso.

Queste comunque sono le partite più evidenti che si vanno giocando, mentre al fondo si dovrà vedere se manterrà la sua spinta in tutto il Medioriente la politica della Mezzaluna sciita che ha permesso a Teheran di espandere la propria egemonia politica a settori delle popolazioni arabe anche in Iraq e Siria, oltre a Libano e Yemen. Un’influenza che aveva permesso per la prima volta agli iraniani di assumere un potere tale da poter influenzare le vicende di una regione dalla quale erano stati estromessi da molti decenni.

Ma qui è interessante rilevare che l’altra potenza regionale estranea alla cultura araba, vale a dire Israele, ha reagito con altrettanta prudenza nel voler prendere le distanze da ogni possibile sospetto di essere dietro l’incidente che è costato la vita a Raisi. Gli stessi palestinesi di Gaza, persino quelli controllati direttamente da Hamas, si sono ben guardati dal mobilitarsi per onorare la memoria dell’uomo che aveva buoni rapporti con i macellai del 7 Ottobre.

L’aria, insomma, è pervasa da un sentimento quasi di paura: paura in Israele, che di solito in questi casi gioisce apertamente per la scomparsa di un nemico; paura nella Striscia, come a voler scongiurare un’ulteriore escalation; paura tra le grandi potenze, a partire dagli Usa e da una Russia che è rientrata nel gioco mediorientale passando dalla porta principale. La guerra mondiale a pezzi, con la morte di Raisi, rischia concretamente di saldarsi in un unico conflitto, e nessuno ha interesse a che accada.

Intanto centinaia di migliaia di giovani iraniane esultano per la dipartita di chi armava la mano che sparava contro di loro, le rinchiudeva in carcere, le violentava e le metteva a morte. Loro e i loro coetanei. L’Iran è uno dei paesi più giovani al mondo. Le cose prima o poi sono destinate a cambiare.

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