Editoriale

Un monito agli “analfabeti” della democrazia

Due sono gli elementi del discorso: il tema e l’uditorio. Ecco allora che quanto detto da Sergio Mattarella nell’inaugurare la cinquantesima edizione della Settimana Sociale vale doppio: perché parla del bisogno di un risveglio democratico, e lo fa di fronte ai cattolici. Quindi sveglia tutti, voi uomini e donne di buona volontà; ma in particolare sveglia voi, cattolici italiani, che già una volta foste il perno della democrazia nel vostro paese. Senza di voi, chissà, la crisi di oggi si sarebbe manifestata ancor prima. Non che una volta, infatti, fosse un paradiso di coscienze civili che aderivano con entusiasmo al processo democratico. Semmai fu il contrario, la democrazia scaturì da una lenta e faticosa opera di edificazione.

Ma allora le idee erano più chiare, almeno su questa sponda della società civile, ed i muratori ben più pronti ad usare persino gli scarti come testate d’angolo: sarebbe stato altrimenti impossibile stabilire regole per cui i voti sono tutti uguali e tutti hanno uguale diritto ad essere rappresentati in Parlamento secondo criteri di rappresentanza e proporzionalità. Oggi, epoca delle nuove élite in cui si pretenderebbe di essere governati dai migliori, assistiamo piuttosto alla radicalizzazione dello scontro, e lo scontro genera ignoranza e l’ignoranza genera radicalizzazione che genera a sua volta inevitabile nuovo scontro. Vince chi urla, urla chi si sente forte o almeno vuole sentirsi tale.

È l’epoca della non conoscenza dei problemi, del dibattito scavalcato, delle soluzioni semplici e veloci come la polpetta di un fast food. È l’epoca, declina il Presidente, degli “analfabeti della democrazia”, di coloro cioè che non sanno nemmeno cosa essa sia e si accontentano di ripetere slogan di cui non capiscono bene il significato, come le pecore orwelliane della Fattoria degli Animali. E insieme, gli uni e le altre, analfabeti e pecore, fanno massa per trasformare il dibattito democratico in oppressione della maggioranza sulla minoranza, nel nome di una “autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice”.

Fu il processo che portò Atene da Pericle a Cleonte; alla sua base quel processo perverso per cui si tende “in modo spregiudicato a mortificare là democrazia ponendone il nome a sostegno di tesi di parte”. Oggi la chiamiamo Democrazia Illiberale, vuoto simulacro di cui si pretende che la vittoria elettorale corrisponda ad una investitura del Capi che, di conseguenza, può infischiarsene di tutto: regole, leggi, Costituzione. L’appello dì Mattarella è alla riscoperta dei veri valori democratici. Ogni generazione – e qui il suo ragionamento rispecchia alcune pagine di Calamandrei – ha il dovere di riscoprirli, pena l’accorgersi della loro importanza quando ormai è troppo tardi.

Ma questo è anche il dovere delle singole culture di ogni società pluralista. In questo caso ci si rivolge in particolare si cattolici, evocando lo spettro di una “democrazia della maggioranza” che rappresenta l’evoluzione di quella “tirannide della maggioranza “ paventata quasi due secoli fa da un grande pensatore cattolico e liberale come Alexis de Tocqueville. Guai allora a turbare l’equilibrio tra i poteri nel nome di un male interpretato principio di legittimità scaturito dalla vittoria elettorale. Sono gli anni in cui si impicca l’avversario alla tastiera del computer, ma poi non si va a votare. Tutto sbagliato, tutto da rifare. Cattolici italiani, pensate bene a cosa fare.

Nicola Innocenti

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