Così come la nostra vita è intrecciata da varie relazioni con altre persone, queste relazioni nascono a loro volta da motivazioni, o aspettative, che portiamo nel cuore. Ciò che conta di più tra le persone è il frutto che nasce nel cuore.
Qualsiasi siano le nostre relazioni con gli altri, il punto di riferimento per ognuna di esse – che lo si voglia o no – è la relazione centrale di ciascuno – con Gesù. Non si può rimanere indifferenti a Lui: o lo si accetta o lo si rifiuta. Non c’è altra via. La storia dell’umanità e tutta la cultura della nostra civiltà lo confermano. È quindi molto importante esaminare ed esplorare continuamente il rapporto del nostro cuore con Gesù: fino a che punto è rilevante per noi, cosa significa nella nostra vita e quali sono le conseguenze.
Il Vangelo di oggi ci mostra la dinamica relazionale delle persone con Gesù. Come al solito, si tratta di un misterioso intreccio tra questioni di vita ordinaria (esistenziali) e la Sua Parola. L’incontro di queste due realtà configura la nostra relazione con Lui – la sua profondità, la sua potenza e la sua fecondità.
Guardando agli eventi descritti nel sesto capitolo del Vangelo di Giovanni, questa dinamica assume una forma molto chiara. Il punto di partenza è l’elementare bisogno materiale di soddisfare la fame. Sapendo questo, Gesù compie lo spettacolare miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che può avere conseguenze di vasta portata anche a livello politico. La soddisfazione dei bisogni umani fondamentali fornisce un senso di sicurezza. Non c’è da stupirsi che i testimoni di questo miracolo vogliano rimanere con Lui e lo cerchino. Con lui si sentono sicuri nell’incerta situazione economica e politica del tempo. E questo è comprensibile anche oggi, in un’epoca di crescente precarietà. Anche se esistono tante istituzioni caritative, siamo ancora lontani dal sentirci tutti al sicuro.
Sebbene questa motivazione sia perfettamente comprensibile, non è sufficiente per Gesù. La sua missione va oltre il soddisfacimento dei bisogni naturali dell’uomo – cosa a cui oggi la Chiesa e i cristiani cercano di dare una spinta in vari modi.
La preoccupazione di Gesù va oltre: riguarda la vita eterna, la vera e più profonda vocazione dell’uomo. E sembra che il suo invito a cercare il cibo che dura e dà la vita eterna sia accolto con comprensione ed accettazione. È chiaro che tutti vogliano vivere per sempre ed offrire i mezzi per realizzare questo scopo non può che essere accettato. E così chi ascolta Gesù risponde. Chiedono come raggiungere questo obiettivo. E qui il discorso prende una forma diversa: va oltre il ragionamento puramente umano. E’ necessario qualcosa di nuovo: la fede.
Non si tratta più del semplice prendere e mangiare il pane e il pesce distribuiti, ma di un certo atteggiamento interiore: la necessità di una relazione concreta con Gesù. Qui, però, inizia il problema che ha gettato una lunga ombra sulla storia dell’umanità fino ai giorni nostri. Perché dovremmo associare le nostre aspirazioni di immortalità a questo Maestro di Nazareth – un operatore di miracoli eppure uno del popolo? La domanda posta ora è significativa e triste allo stesso tempo: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo?” (Giov. 6, 30) Come se il miracolo appena compiuto non fosse sufficiente! Il Signore Gesù non si scoraggia. Con umiltà dà una spiegazione che indica con delicatezza la necessità di credere a Dio nel contesto delle sue azioni salvifiche. Cerca di collegare l’esperienza appena stimolata e le preoccupazioni esistenziali dei suoi ascoltatori con la riflessione teologica. E sembra ottenere un effetto, affinché gli ascoltatori dichiarino la loro disponibilità a ricevere il pane che dà la vita eterna.
Tuttavia, la loro motivazione si basa ancora sui bisogni e sui desideri delle persone. Il Signore Gesù cerca quindi di correggerli parlando dalla sua persona. Questa è la prima dichiarazione eucaristica espressivamente forte e chiara – senza dubbio scioccante, ma proprio per questo invita alla fede. Con queste parole termina il Vangelo di oggi. Cresciuti nella tradizione della Chiesa, formati dalla catechesi, conosciamo bene queste parole. Tuttavia, vale la pena di riflettere sul loro significato personale e reale.
Che cosa significa per noi l’Eucaristia? È effettivamente un cibo, soddisfa il nostro desiderio di eternità? È un’espressione del nostro amore e del nostro desiderio per Gesù? Le statistiche sono eloquenti: nel 2022, solo il 19% dei credenti italiani frequentava regolarmente la Messa, mentre quasi un terzo dei credenti no. Naturalmente ognuno è responsabile di se stesso, del proprio rapporto col Signore. Guardiamo con onestà e traiamo le conclusioni. Abbiamo bisogno di Gesù? Perché?
Lui non smette di aspettarci all’altare, nel Tabernacolo. Non smette di promettere l’eternità. Ma siamo in grado di ascoltarlo? Altre offerte, o le nostre comodità e semplificazioni, oppure forse pregiudizi e traumi ce lo impediscono?