La missione ad gentes è una delle dimensioni fondamentali dell’attività della Chiesa. I missionari e le missionarie, rispondendo alla chiamata di Cristo, hanno lasciato tutto per andare lontano dalla loro patria e portare la Buona Notizia. La loro vita, sottolinea Jorge Mario Bergoglio, è “espressione tangibile dell’impegno della missione ad gentes che Gesù ha affidato ai suoi discepoli”. Francesco auspica una “stretta cooperazione missionaria” nella Chiesa universale come nelle Chiese particolari raccomandando a tutte le diocesi il servizio delle Pontificie Opere Missionarie.
Un gesto significato da questo punto di vista. E che implica la visione di una Chiesa in cui non c’è divisione tra coloro che la presiedono e gli altri suoi membri. Perché tutti e ognuno sono membri, allo stesso titolo radicale, dell’unico Popolo di Dio in Cristo, pur nella diversità dei servizi. “La Chiesa siamo tutti: dal bambino recentemente battezzato fino ai vescovi, al Papa. Tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio!”, ha detto in una delle sue udienze pubbliche. E lo ribadì con forza in un’altra: “La Chiesa siamo tutti, tutti! Tutti noi! Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù”. Negli anni precedenti alla sua elezione egli si era mosso teologicamente e pastoralmente nella linea della “teologia del popolo”. La stessa che ispira attualmente il suo servizio petrino tanto nei suoi scritti quanto, soprattutto, nei suoi atti. Una opzione che si concretizza nel mettere al centro delle sue preoccupazioni non i bisogni e i problemi propri. Ma il mondo con le sue gioie e le sue speranze, le sue tristezze e le sue angosce attuali. Il Concilio Vaticano II prima, e il Sinodo dei vescovi sintetizzano il punto più alto del rinnovamento ecclesiale.
Una Chiesa, quindi, come ama ripetere spesso papa Francesco, che non è autoreferenziale, ma “in uscita”, “con le porte aperte”. Con un’espressione paradossale arriva a dire, più di una volta: “Preferisco mille volte una Chiesa incidentata, piuttosto che chiusa”. “Quando la Chiesa è chiusa, si ammala”. Per infrangere questa chiusura la Chiesa è chiamata ad aprirsi e a dialogare anzitutto con gli altri cristiani, per camminare insieme con essi verso l’unità per la quale Cristo ha pregato il Padre. “Perché tutti siano una sola cosa“. Ut unum sint. Il mandato evangelico, quindi, è quello di portare a tutti la buona novella. Dialogando con le altre fedi e religioni, per crescere con esse nel servizio del bene comune. Cooperando con ogni persona che abita questo pianeta, per costruire con essa un mondo più conforme al meraviglioso progetto dell’amore di Dio. Come enuncia Francesco nell’enciclica Laudato si’. Ma più specificatamente la Chiesa è chiamata a uscire “verso le periferie“, non solo quelle geografiche. Ma anche quelle esistenziali che acquistano molteplici volti. Economici, culturali, razziali, religiosi. Perché sono esse le più bisognose di cura e attenzione. Una chiamata, quindi, all’insegna della parabola degli invitati a lavorare nella vigna. “Incominciando dagli ultimi” (Mt 20,8).
Ogni cristiano, insegna papa Francesco, è chiamato a prendere parte a questa missione universale con la propria testimonianza evangelica in ogni ambiente. Così che “tutta la Chiesa esca continuamente con il suo Signore e Maestro verso i crocicchi delle strade del mondo di oggi”. Il “dramma” della Chiesa dei nostri giorni “è che Gesù continua a bussare alla porta, ma dal di dentro, perché lo lasciamo uscire”, avverte il Pontefice: “Tante volte si finisce per essere una Chiesa che non lascia uscire il Signore, che lo tiene come una ‘cosa propria’. Mentre il Signore è venuto per la missione e ci vuole missionari”.