La misericordia cristiana e la”rehamim” ebraica

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Foto di Simon da Pixabay

Nella “Lumen fidei” Jorge Mario Bergoglio evidenzia che “il Decalogo non è un insieme di precetti negativi. Ma di indicazioni concrete per uscire dal deserto dell”io’ autoreferenziale, chiuso in se stesso. Ed entrare in dialogo con Dio, lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia per portare la sua misericordia”. Suddivisa in quattro capitoli, l’enciclica era già stato quasi completata da Benedetto XVI. Alla prima stesura Francesco ha aggiunto “ulteriori contributi”. Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni
Maria Flick, parlando alla fondazione Centesimus annus, ha precisato che nell’origine ebraica di ciò che oggi traduciamo con misericordia, l’Antico Testamento usa l’espressione “rehamim”. Che propriamente designa le “viscere” (al singolare, in senso materno, ventre). Testimone affidabile della fede è Gesù, attraverso il quale Dio opera veramente nella storia. Chi crede in Gesù non solo guarda a Lui, ma anche dal Suo punto di vista. E come nella vita quotidiana ci affidiamo all’architetto, al farmacista, all’avvocato, che conoscono le cose meglio di noi, così per la fede ci affidiamo a Gesù, esperto nelle cose di Dio, colui che ci spiega Dio.  Della misericordia iniziale, Dio conserva memoria per gli uomini: a condizione che gli uomini siano fervidi nella speranza di riceverla, fino all’insistenza, fin quasi all’insolenza.

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Foto di Coronel Gonorrea su Unsplash

La fede non è un fatto privato, sottolinea il Pontefice, perché si confessa all’interno della Chiesa, come comunione concreta dei credenti. E in questo modo, l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale. Per Francesco l’obiettivo della predicazione è sollecitare la
Chiesa a calarsi nella realtà. il Papa dimostra lo stretto legame tra fede, verità e amore, quelle affidabili di Dio. La fede senza verità non salva, secondo il Pontefice, resta solo una bella fiaba. Soprattutto oggi in cui si vive una crisi di verità a causa di una cultura che crede solo alla tecnologia o alle verità del singolo, a vantaggio dell’individuo e non del bene comune. Il grande oblio del mondo contemporaneo, evidenzia il Papa, è il rifiuto della verità grande, è il dimenticare la domanda su Dio. Perché si teme il fanatismo e si preferisce il relativismo. Al contrario, la fede non è intransigente. Il credente non è arrogante perché la verità che deriva dall’amore di Dio non si impone con la violenza e non schiaccia il singolo. Per questo è possibile il dialogo tra fede e ragione. Innanzitutto, perché la fede risveglia il senso critico ed allarga gli orizzonti della ragione. In secondo luogo, perché Dio è luminoso. E può essere trovato anche dai non credenti che lo cercano con cuore sincero. “Chi si mette in cammino per praticare il bene si avvicina già a Dio”, insegna Jorge Mario Bergoglio.

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Foto © Sara Minelli (Imagoeconomica)

“La teologia non può prescindere da un tempo e da uno spazio preciso che è il mondo reale. Dio, infatti, non parla in astratto, ma alle persone concrete che vivono in una data epoca”, ha evidenziato il cardinale Pietro Parolin. Il segretario di Stato ha tenuto a Padova
una conferenza nella Facoltà teologica del Triveneto in piena concordanza con il richiamo di Francesco a una teologia incarnata che metta i teologi a confronto con il mondo contemporaneo e con i suoi problemi quali le “nuove migrazioni“. Di fronte alle quali occorre “farsi portatori di istanze etiche capaci di trasformarsi in azioni politiche necessariamente condivise”. Una condivisione, osserva il cardinale Parolin, “che va
oltre gli stessi legami europei, trattandosi di una realtà le cui cause sono determinate da una comunità internazionale in cui i responsabili, Stati e istituzioni intergovernative, sono preoccupati di garantire equilibri sempre più precari piuttosto che puntare a una stabilità e costruire situazioni pacifiche“. Nel suo ultimo capitolo, la “Lumen fidei” spiega proprio il legame tra il credere e il costruire il bene comune: la fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli tra gli uomini e si pone al servizio della giustizia, del diritto, della pace. Essa non allontana dal mondo, precisa il Papa. Anzi “se la togliamo dalle nostre città, perdiamo la fiducia tra noi e restiamo uniti solo per paura o per interesse. Sono tanti, invece, gli ambiti illuminati dalla fede“. La famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna. Il mondo dei giovani che desiderano ”una vita grande” e ai quali “l’incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude”. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio – afferma il Pontefice – ma la dilatazione della vita”.

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Il Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin e don Aldo Buonaiuto. ©Interris.it

Insomma Jorge Mario Bergoglio mette al centro la necessità del dialogo in un mondo aperto. Secondo il cardinale Parolin il mondo   che Francesco descrive e interpreta è un mondo aperto, dove in principio non esistono situazioni o abitudini precostituite. Ma è un mondo di relazioni e di dialogo, due aspetti che sono per lui una regola di vita. La misericordia è il sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla. Misericordioso è lo sguardo del papa figlio di migranti sull’umanità ferita del terzo millennio. “Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia”, scrive Francesco in una lettera all’arcivescovo di Buenos Aires Mario Poli. Opera di misericordia nella morale cristiana è un’opera in cui si esercita la virtù della misericordia, e, con significato più generico, è un atto di bontà, di carità verso chi soffre.