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Da Wojtyla a Francesco: “Dives in misericordia”

Misericordia

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Dives in Misericordia. “La misericordia non può essere una parentesi nella vita della Chiesa. Ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo“, sostiene Francesco.  Alla “Rivelazione della misericordia” è dedicata l’enciclica più conciliare di Giovanni Paolo II. Sulla scia del suo predecessore polacco da lui canonizzato, Francesco esorta pastori e fedeli laici ad avere nel cuore la stessa ansia di vivere e attuare il Concilio Vaticano II e portare al mondo la luce di Cristo. “La misericordia alla quale siamo chiamati abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi. E non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori”, evidenzia Jorge Mario Bergoglio. In Europa le Chiese sono molto sulla difensiva e sulla preservazione dell’esistente e sembrano meno fiduciose sull’opera di Dio nella storia. E certamente Francesco è simbolo della vitalità del Nuovo Mondo. E dello spirito latinoamericano che più che della formulazione dogmatica si preoccupa della traduzione in azione e testimonianza del messaggio evangelico.Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo e dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione, non da un Concilio o da un altro. Vivendo in un determinato momento storico il papa è però certamente chiamato a realizzare un evento così importante e significativo come è stato il Vaticano II. Opera di tutto l’episcopato mondiale che ne ha approvato i documenti quasi all’unanimità. E che tutti i papi hanno preso come punto di riferimento. Per papa Francesco, che non ha partecipato al Concilio, esso è un dato di fatto. Un pilastro dato per acquisito. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono posti tutti nella linea del Vaticano II, cercando di attuarne le novità. Con la canonizzazione di Giovanni XXIII che aprì il Concilio e di Giovanni Paolo II che l’ha vissuto intensamente, ai quali ha aggiunto quella di Paolo VI (che ha chiuso degnamente il Vaticano II e più ha sofferto per farlo realmente recepire), di fatto Francesco ha “canonizzato” il Concilio. Nelle figure dei suoi protagonisti e attuatori. Parimenti la fedeltà al Concilio di Benedetto XVI è indubbia. E le sue riserve su alcune conseguenze non desiderate del Vaticano II, come in fatto di liturgia, non modificano una linea di sostanziale fedeltà allo spirito del Concilio. Con buona pace di coloro che speravano che con papa Ratzinger la Chiesa facesse, almeno parzialmente, marcia indietro. Ma non si può dire che un papa è più conciliare dell’altro. Ciascuno, in questi sei decenni, ha portato un suo stile e una sua sensibilità, ma sempre nella scia conciliare.

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Giovanni Paolo II,è stato un grande missionario e un evangelizzatore a livello mondiale, simbolo (anche fisicamente, finché ha avuto buona salute) di una Chiesa che nello smarrimento del mondo moderno, ha certezze da dare e splende come un faro nella notte, trasformandosi in fiaccola che va a portare luce nei suoi viaggi e nei suoi infiniti contatti. Alla sua grande apertura sui problemi sociali, infatti, ha fatto riscontro una certa rigidità sui problemi familiari e morali, sia per la sua formazione sia per il timore, forse, che aprendo delle brecce in questi campi, franasse poi tutto un edificio morale costruito nei secoli. La personalità dei papi, come di tutti, è complessa e non è mai di un colore solo. Benedetto XVI ha portato alla Chiesa e al mondo la sua profonda preparazione teologica e di pensatore. Cercando di riportare all’essenziale il messaggio evangelico, che talvolta sembra dissolversi nella cultura moderna. Ma la sua immagine è stata spesso travisata. Ci sono state condanne, a destra e a sinistra, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ma non con Benedetto XVI, assai più attento al pluralismo del pensiero teologico di oggi e al dibattito teologico che ha bisogno di libertà. Nella pastoralità dell’azione di Francesco e nello sforzo del dialogo con il mondo moderno e anche con i lontani, che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi, che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù che frequentava pubblicani e stranieri e accettava gesti di venerazione da pubblicani e prostitute, quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti.

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Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche. E anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni. Riconoscendo “semi del Verbo”, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede. Le radici conciliari del pontificato di Francesco si ritrovano nella povertà che è al centro del Vangelo e in un filone di testimonianza mai interrotto nella storia della Chiesa. Ogni movimento religioso, come quello benedettino, francescano, gesuita ha sempre posto la povertà come fondamento della propria spiritualità. E la misericordia è l’attuazione della Scrittura che viene ora riscoperta. È innegabile l’affievolirsi nei secoli del messaggio di misericordia divina che invece pervade tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. Forse a molti è sembrato che un Dio che prova compassione venisse impoverito. E troppo spesso è stata attribuita a Dio la concezione umana di giustizia, che non è la sua, per fortuna degli uomini. Il Concilio Vaticano II ha contribuito a questa riscoperta, ma anche gli studi posteriori ad esso. Lo slancio che porta a Dio e quello che porta al prossimo, sia come singolo che nelle strutture sociali che l’umanità ha creato, è lo stesso, come il Vangelo e il Concilio documentano. La tentazione è da sempre quella di dividere le due cose. Mentre l’impegno nell’una è la verifica della bontà dell’altro.

Giacomo Galeazzi: