Al punto in cui siamo arrivati non sappiamo più cosa sia peggio: minacciare ripetutamente la crisi di governo o aprirla in modo da sgomberare il campo da questo assurdo valzer dei ricatti? Perché restare eternamente in mezzo al guado, sperando che il premier, Mario Draghi, si stufi e molli il colpo, o il leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, trovi il coraggio per un atto di belligeranza, dopo averla solo disegnata nell’aria, rischia di spiaggiare il Paese. Eppure questo sembra esser diventato lo stato dell’arte, dove tutti stanno aspettando il loro Godot, immaginando una commedia da scrivere ancora per metterla in scena fra settembre e ottobre. Così vanno dicendo gli addetti ai lavori. E non è detto che non sia vero.
Fuor di metafora, però, c’è la cronaca di questi giorni a delineare un quadro assai complesso. Lunedì scorso il Movimento 5 Stelle non ha partecipato al voto finale alla Camera del cosiddetto “decreto legge Aiuti”, e oggi (giovedì) potrebbe fare lo stesso al Senato, dove fra l’altro il governo ha deciso di vincolare il decreto a un voto di fiducia. È una decisione che il Movimento ha giustificato con alcune ragioni concrete – su tutte, il mancato rinnovo del cosiddetto Superbonus edilizio, ideato proprio dal M5S – e che molti interpretano come il primo passaggio politico di una potenziale crisi per il governo guidato da Mario Draghi, di cui il M5S è uno dei principali sostenitori.
Di fatto però la crisi di governo non è iniziata e forse non inizierà nemmeno: come succede ciclicamente nella politica recente italiana siamo ancora nella fase delle minacce e delle rassicurazioni, delle dichiarazioni battagliere seguite da quelle concilianti, e potrebbe risolversi tutto nel giro di pochi giorni. Quel che viene raccontato come cronaca, molto spesso, non corrisponde a ciò che viene rubricato alla voce retroscena. In pratica a decidere le sorti del Paese sono le trattative sotto banco, le intese sottotraccia, non le baruffe chiozzotte da Aula parlamentare, vendute come la sostanza della questione dei protagonisti, o presunti tali.
Sia chiaro, il Movimento 5 stelle è molto diviso al suo interno riguardo il sostegno al governo Draghi, e diversi parlamentari stanno cercando di convincere il presidente, Giuseppe Conte, a fare uscire il partito dalla maggioranza per cercare di riacquistare consensi in vista delle elezioni politiche, che si terranno nella primavera del 2023. Ma Draghi ha detto più volte che senza il sostegno del M5S il suo governo non avrebbe più senso di esistere, in quanto espressione di compromesso di tutte le principali forze politiche parlamentari. Nel caso uscissero dalla maggioranza, insomma, Conte e il M5S dovrebbero con ogni probabilità assumersi la responsabilità politica di far cadere il governo: col rischio ulteriore di andare subito a elezioni e magari prendere ancora meno voti di quelli stimati dai sondaggi. Ma non è certo facile, non avendo il coraggio sufficiente, imboccare quella strada.
La posizione di Draghi in queste ore sembra piuttosto indecifrabile. Alcuni giornali lo descrivono come sereno e assai poco turbato dalle tensioni politiche interne alla maggioranza. Il Corriere della Sera invece riporta una telefonata in cui avrebbe detto ad Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia, di avere le “tasche piene” dell’incertezza che sembra avvolgere il suo governo. “Non permetterò che questa situazione si trascini a lungo. E se non si comporrà, sarò io a salire al Quirinale”, avrebbe detto sempre a Tajani riguardo al sostegno del Movimento 5 Stelle. “Questa situazione di fibrillazione il governo l’ha affrontata abbastanza bene, continua a lavorare, oggi abbiamo avviato questa fase di collaborazione con le parti sociali. Queste fibrillazioni sono importanti perché riguardano l’esistenza del governo ma diventano più importanti se il governo non riuscisse a lavorare, se non riuscisse a farlo”, ha spiegato il presidente del Consiglio, ribadendo che “se il governo riesce a lavorare continua, se non riesce non continua”.
Lunedì sera intanto Draghi è andato al Quirinale per parlare con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma secondo i cronisti non hanno parlato della possibile crisi. La sensazione di diversi cronisti politici e retroscenisti è che prima o poi una crisi di governo avverrà: magari in autunno, mentre si discuterà la legge di Bilancio in piena campagna elettorale per le elezioni politiche. Oppure a settembre, subito dopo la ripresa dei lavori parlamentari. Sullo sfondo resta comunque una possibile terza via. Considerando le prossime ore come lo spazio possibile per un nuovo fragile accordo politico con i 5 Stelle per andare avanti ancora un po’, nel caso in cui tutto dovesse saltare non è da escludere una crisi di governo pilotata in cui Draghi potrebbe trovarsi a guidare una nuova maggioranza senza i 5 Stelle. Ipotesi non più lunare, ma probabile. Con tutti i rischi, per Draghi e per il Pd, di trovarsi alla guida e soci di un governo a trazione centrodestra.