Meloni contro l’Europa: cambiare per la democrazia

Foto © Palazzo Chigi

Le potremmo definire “repliche energiche”, sicuramente forti e cariche d’impeto, essendo il lancio verso i lavori del Consiglio europeo in cui sarà delineato il futuro dell’Unione continentale. E tanta energia, la premier, Giorgia Meloni, l’ha messa in campo a fronte dei numerosi assalti compiuti dalle opposizioni durante le comunicazioni in Parlamento, volendo dar prova di solidità politica. E proprio per questa ragione la presidente del Consiglio ha respinto ogni tentativo di discredito, ricordando a tutti la sua determinazione nel voler portare a Bruxelles la voce dell’Italia. “Sento dire che la Meloni fa la cheerleader, ma io penso che un presidente del Consiglio dei ministri non debba fare la cheerleader né dell’uno e né dell’altro, penso che debba difendere l’interesse nazionale e questo sì che vuol dire camminare a testa alta”, afferma la premier in Aula. Questo, prosegue la Meloni, “non l’ho visto accadere molto spesso, sicuramente lo vedo accadere adesso”. Arrivati a questo punto, dice ancora il premier, “la campagna elettorale è finita. Apriamo una nuova legislatura europea molto complessa”.

In Europa, ha aggiunto il presidente del Consiglio mettendo a tacere ogni polemica sterile delle opposizioni, “l’interesse nazionale per me viene prima dell’interesse di partito“. Un interesse che non hanno evidentemente altri, come ha sottolineato la Meloni, che durante le sue repliche ha voluto ribadire di considerare grave “che qualcuno dica ai suoi omologhi europei che non bisogna trattare con Meloni”. E qui si apre il capitolo del vertice europeo, dove la posta in palio è particolarmente alta. Molti analisti, in questi giorni, hanno insistito nel definire questo Consiglio europeo “complicato”, in cui Giorgia Meloni, come presidente del Consiglio italiano e, al contempo, leader di Ecr, il partito conservatore che è il terzo più rappresentativo del parlamento europeo, dovrà decidere se accettare le proposte che le arrivano dal gruppo dei mediatori o collocare l’Italia e il suo gruppo all’opposizione.

Parlando alla Camera è arrivata dritta al punto: “La composizione del nuovo parlamento è stata delle indicazioni del voto del 8 giugno. Tutti i partiti hanno proposto un cambiamento rispetto all’attuale assetto Europeo, nessuno tra i partiti presenti anche in quest’aula hanno concordato sul fatto che l’Europa deve prendere una direzione diversa da quella attuale”. La Meloni sottolinea come le istituzioni europee sono tutt’altro che gradite, la partecipazione degli elettori al voto “è inferiore al 50%, una situazione che non può e non deve lasciare indifferenti le classi dirigenti, comprese quelle che in questi giorni sembrano essere tentate di nascondere la polvere sotto il tappeto”. Ma l’affondo sugli equilibri che si sarebbero composti in vista del Consiglio europeo di oggi arriva alla fine del suo intervento: “Alcuni hanno sostenuto che non si debba parlare con alcune forze politiche. Le istituzioni Ue sono state pensate in una logica neutrale. Gli incarichi apicali sono stati affidati tenendo in considerazione i gruppi maggiori, indipendentemente da logiche di maggioranza e opposizione. Oggi si sceglie di aprire uno scenario nuovo e la logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti, dove una parte decide per tutti. Una ‘conventio ad excludendum’ che a nome del governo italiano ho contestato e non intento condividere”.

Insomma, è arrivato il momento di alzare la voce per cercare di aver maggior potere negoziale; affermare di puntare al bersaglio grosso (cambiare la politica dell’Europa) per arrivare al minimo, un ruolo pesante per l’Italia nella prossima Commissione Ue; drammatizzare la situazione, forse anche per esigenze di politica interna. Al Consiglio europeo, che dovrebbe dare il via libera all’intesa sui top jobs – Antonio Costa presidente del Consiglio, Ursula von der Leyen presidente della Commissione, Kaja Kallas alto rappresentante per la politica estera – la Meloni ha mandato un messaggio chiaro. La premier vorrebbe una vicepresidenza (ma molto difficilmente potrebbe essere esecutiva) e deleghe di peso per il commissario, ruolo per il quale sembra rafforzarsi la candidatura di Raffaele Fitto. Intervenendo in Aula a Montecitorio, la Meloni ha attaccato “metodo e merito” del pacchetto proposto dalla maggioranza formata da Ppe, S&D e Renew.

Di fronte a un voto popolare che, secondo lei, ha mostrato con “segnali chiari” la richiesta di un “cambiamento”, le “classi dirigenti europee sembrano purtroppo tentate dal nascondere la polvere sotto il tappeto, dal continuare con vecchie e deludenti logiche come se nulla fosse accaduto”. Un’Europa “sempre troppo uguale a se stessa” se non “autoreferenziale” ha commesso dunque l’errore di non imparare dai propri errori, di non scostarsi da quella tendenza “troppo invasiva” che rischia di “omologare culture, tradizioni, specificità geografiche e sociali”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di “fare meno e di farlo meglio”, diventare un “gigante politico” invece che un “gigante burocratico”. E questo dovrebbe essere l’obiettivo di tutti, oggi più di ieri.