L’utero in affitto non esiste. Esiste, invece, una donna con la sua storia, i suoi sentimenti, i suoi problemi, la sua salute alla quale viene chiesto il più terribile dei sacrifici umani, quello di partorire un figlio e poi darlo ad altri. Per denaro, naturalmente, anche se si fa di tutto, per allontanare questa orribile verità. Esiste poi un figlio, che, come tutti i figli, vuole rimanere con la sua mamma. Non è mica un caso se, dopo il primo respiro, la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo venuti al mondo è stata quella di cercare il seno della mamma, per aggrapparci come un naufrago allo scoglio, per non morire.
Ed esistiamo noi. Noi che davanti ai problemi possiamo distrarci, girarci dall’altro lato, far finta di niente; affrontare il discorso con serietà, abnegazione, altruismo; oppure badare ai nostri più stretti desideri o interessi personali. C’è infine chi afferra al volo l’occasione e ne fa commercio per arricchire se stesso e la sua stirpe. All’utero in affitto, si è voluto a tutti i costi dare il nome di “maternità surrogata”, suona meglio, fa meno impressione. La prima cosa da fare, quando si tratta della vita umana, un argomento che ancora riesce a interessare la gente, è sminuirne la portata emotiva. “Utero in affitto” è brutto, violento, aspro; maternità surrogata piace di più. Le cose però non cambiano. Si tratta di ordinare ad altri un figlio, come se fosse un lavoro a maglia, e poi portarselo via. Va da sé che questo triste fenomeno genera domande di ogni tipo.
A causa della pandemia in corso, tanti bambini nati dall’utero in affitto non hanno potuto essere ritirati dai committenti e sono rimasti nei Paesi di origine. Ne è nato un problema – un vero dramma – di non facile soluzione. Anche Nichi Vendola, l’ex governatore della Puglia, quattro anni fa, ha avuto in questo modo, insieme al suo compagno, un bambino. Ebbene, oggi interviene sul problema e dice che occorre “un dibattito pulito e di verità, rispettoso dei beni che sono in gioco in questa discussione. Certo, un dibattito per regolamentare ciò che esiste e che rischia di essere governato dal far west”.
In altre parole, io faccio altrove qualcosa che non mi è consentito fare in Italia, poi ritorno a casa e pretendo che il mio Paese, per non generare un far west, obbedisca ai miei ordini. Strano modo di ragionare. Strana democrazia. L’ex leader di “Sinistra e libertà” si lamenta perché “nel nostro Paese la politica è clericale per comodità, forse per farsi condonare i peccati, forse per difetto di conoscenza della società”. Non so che cosa intenda dire, Vendola, con questa affermazione. Una politica clericale, nel nostro Paese? Verrebbe da chiedersi in che mondo viva Vendola e se si sia mai chiesto se chi la pensa diversamente da lui possa avere semplicemente ragione. Si, perché Vendola vuole dialogare e, a prima vista, dice cose molto belle e condivisibili. Sentite: “I diritti delle donne e dei bambini dovrebbero essere il presupposto di qualsiasi legislazione internazionale”. Giusto, siamo d’accordo.
A noi stanno a cuore, fino a farci male, i diritti delle donne e dei bambini. Soprattutto di quelle donne che non avendo da mangiare sono costrette a “fittare” il loro corpo per fare figli da vendere ad altri. Donne povere alle quali, di volta in volta, vengono rubate ora le braccia per i campi, ora il corpo da dare in pasto a chi brama un oggetto sessuale. E adesso anche il bene più intimo, quello di generare figli per darli ad altri. Ci stanno a cuore i diritti del figlio che, purtroppo, non può far valere le sue ragioni, ma che possiamo facilmente immaginarle se solo ci lasciamo guidare dalla logica, dall’istinto, dalla ragione, dalla scienza, dal buon senso, e, per chi si dice cristiano, dalla fede. È facile parlare di dititti in astratto, più complicato quando si scende nei particolari. Chi ha prodotto il far west sulla pelle di questi bambini innocenti andrebbe semplicemente processato. L’utero in affitto è un abominio. Stiamo scherzando con il fuoco, un fuoco spaventoso che anziché illuminare e riscaldare, potrebbe rovinare e distruggere.