Ancora in questi giorni non sappiamo quanto potrà durare la pandemia e quali altre crisi, che speriamo non dovremo affrontare. Ma già ci siamo resi conto che queste difficoltà così intensamente vissute da tutte le persone, stanno generando una mentalità e coscienza più adatte a riordinare, nelle priorità, le necessità personali e comunitarie. Potrebbe definirsi un salutare reset, che però non abbiamo avuto nell’altra crisi, quella finanziaria di più di un decennio fa, che seppur gravida di interrogativi per la vita delle persone e per le prospettive della economia e della democrazia, non ha avuto quella capacita di coinvolgimento emotivo che costituisce quella energia capace di generare il motore per il cambiamento d’epoca.
Il lockdown già ha provocato un fulmineo cambio di passo già lo ha provocato nel costume, nelle relazioni tra persone e nel lavoro. Ma ci sono stati già segni molto profondi soprattutto per l’affermazione di nuovi paradigmi: il recupero da parte delle élites europee della consapevolezza della propria storia, della propria vocazione democratica, della importanza ruolo di continente unito per l’equilibrio del mondo.
La reazione dell’EU nel far fronte alla emergenza sanitaria ed economica ne è una prima prova, ma ancora più forte, ha riguardato la progettazione ormai palese di livelli più intensi di motivazioni, per giungere finalmente ad un assetto più definito di Stato federale. L’Europa è stata addormentata per tre quarti di secolo, avviluppata nei suoi nazionalismi ed opportunismi insensati, mentre altre aree regionali si sono affermate per la primazia nella economia, e nella guida dei processi politici e nella supremazia militare in ogni scacchiere internazionale.
Nel tempo, contemporaneamente alla riduzione del protagonismo europeo, si sono man mano fatte avanti potenze asiatiche ed euro-asiatiche governate internamente da dittature o da democrazie ai primi passi, che fanno sorgere grandi dubbi per i destini futuri del mondo. Costoro negli ultimi anni sono diventati su più piani tanto aggressivi, da suscitare forti dubbi sulla probabilità di un loro interesse ad intorbidire le stesse acque europee sostenendo più o meno palesemente ‘l euroscetticismo’, per evitare lo sviluppo della UE, come grande concorrente economico e politico alla leadership del mondo.
Questo scenario, e la ritrovata consapevolezza di confermarsi eredi diretti dell’Umanesimo generatore del protagonismo delle persone per la determinazione del proprio destino nella vita comunitaria, sono state le spinte principali, a distanza della prima dichiarazione di Schuman per la comunità del carbone e dell’acciaio di 70 anni fa, di ripresa di disegni progettuali di grande portata. Dunque un progetto che avrà conseguenze positive per i nostri popoli, ma anche per tanti altri, che sono molto lontani dai diritti democratici, civili e sociali, che proprio i filosofi del nostro continente indicarono come orizzonti fecondi di libertà e di benessere.
Rifortificare quelle fondamenta, ha in senso di recuperare in Europa l’idea cardine che senza una filosofia di fondo quale bussola per organizzare la democrazia, si scivola facilmente nel populismo disgregatore; mentre per i popoli ancora senza libertà, una indicazione salda e sperimentata, che senza democrazia l’uomo degrada perdendo anche il senso della sua dignità e della sua storia.