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Il lascito di papa Luciani: la memoria di don Albino

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L’eredità di papa Luciani: una prossimità in grado di alimentare condivisione ed empatia. Il ritorno delle spoglie di San Pio X con il 45° anniversario della morte di un altro Papa veneto: Giovanni Paolo I. Una ricorrenza caduta un anno dalla sua solenne beatificazione. E che ricorda l’immagine di un figlio delle terra veneta che, prima dell’elezione a pontefice, ad essa ha dedicato tutto il suo impegno pastorale. Una figura verso la quale è ancora vivo l’affetto dei fedeli. L‘occasione della sua elezione alla gloria degli altari ha confermato quanto sia ancora viva la figura di “don Albino”. E la memoria per il suo breve papato. Protagonista di uno dei più brevi pontificati della storia durato appena 33 giorni, Albino Luciani salì al soglio di Pietro il 26 agosto 1978 assumendo il nome di Giovanni Paolo I. Verrà trovato morto la mattina del 29 settembre successivo e gli succederà Papa Wojtyla. Un volto familiare che molti avevano conosciuto da vicino. In lui, nelle sue vicende di vita in anni difficili. Quelli delle famiglie decimate dall’emigrazione e dalla miseria. Del lavoro duro e della difficoltà di garantire il pasto a tutti. Nella sua mitezza si sono riconosciuti in tanti e anche per questo lo amarono. La sua carriera ecclesiastica e la sua grande preparazione culturale non avevano intaccato la semplicità del prete agordino. E la concretezza che condivideva con quei sacerdoti che erano il sostegno delle loro comunità in anni in cui anche il Veneto era una periferia del mondo. “Un grande veneto, modello di una vita interamente dedicata alla comunità fino a livelli universali. Ma anche testimone della nostra storia e dei valori della nostra gente”, sottolinea il governatore del Veneto, Luca Zaia.Fondamentale è stata anche la lezione di Giovanni XXIII. L’affermazione di fratellanza universale e il nesso tra pace, dignità dell’uomo e giustizia sociale. Sono questi capisaldi della “straordinaria attualità” dell’enciclica “Pacem in terris” di Angelo Giuseppe Roncalli, secondo il presidente del Consiglio regionale. Roberto Ciambetti ha introdotto a Venezia, nella scuola di San Rocco, la presentazione della raccolta di studi giuridici dedicata dal costituzionalista Mario Bertolissi alla lettera giovannea. A 60 anni dalla sua pubblicazione. Una enciclica analizzata da Ciambetti che firma la nota introduttiva alla miscellanea di studi curata da Bertolissi su “Pacem in terris, Costituzioni e Carte dei diritti“. Il documento pontificio ha preso forma dagli orrori del “secolo breve”, o “secolo sterminato” per dirla con Marcello Veneziani. Dall’esperienza diretta della guerra che don Angelo, il futuro papa, sperimentò da cappellano militare. Dalla tragedia dello sterminio che da nunzio apostolico a Sofia e a Istanbul cercò di contrastare. E, non ultima, dalla minaccia di una terza guerra mondiale sfiorata nella crisi dei missili a Cuba nel 1962. “Se rileggiamo quell’enciclica pensando all’intera vita di Angelo Roncalli scopriremo la sua forza profetica, la sua straordinaria attualità. Ma sentiremo soprattutto la voce della storia parlarci dalle trincee. Dalle case diroccate. Dai carri dei profughi. Da chi fugge dalle pulizie etniche come dalla violenza assassina. Ponendoci davanti al loro dolore, ma anche al loro sogno utopico di una pace e di una giustizia finalmente raggiunta – afferma Ciambetti – Il messaggio del Papa ci spiega che non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza fratellanza. E non c’è fratellanza senza pace”. Sessant’anni dopo quell’11 aprile del 1963 la lezione giovannea, nell’Europa ferita dalla guerra, è di straordinaria contemporaneità. E’ il manifesto del nuovo mondo.Sessant’anni fa. Pochi giorni prima che iniziasse la prima agonia di un Papa vegliata dal mondo intero. Con migliaia di persone oranti in Piazza San Pietro. E molte di più attaccate alla radio e alla televisione. Si seguivano le ultime sequenze nella vita di Giovanni XXIII”. Il pronipote di Giovanni XXIII, Marco Roncalli ricorda lo zio papa. E quegli ultimi incontri con Giovanni Battista Montini che ne avrebbe poi raccolto l’eredità. Sceso per l’ultima volta in San Pietro il 15 maggio, scrisse l’ultima pagina del suo diario sotto la data del 20, rivelando il ‘grande dolore fisico’ che stava consumandolo. Cinque giorni dopo, auspici di guarigione e consolazioni gli arrivarono da Milano. Il cardinale Montini così gli scriveva: “Possa la Santità Vostra cogliere i frutti del Suo apostolico ministero nel Concilio ecumenico, che alla sua prossima seconda sessione desidera averLa in mezzo alla sua grande assemblea. Rinfrancato nelle forze del corpo e sempre magnifico in quelle dello spirito. Lo informò anche circa la posa della prima pietra di una nuova chiesa alla periferia cittadina dedicata a San Gregorio Barbarigo. Nonché della firma apposta al decreto di fondazione dell’Accademia di San Carlo per promuoverne l’approfondimento, come il Papa aveva desiderato. Le condizioni del Pontefice precipitarono- ricorda Marco Roncalli-. E l’arcivescovo Montini scese nella cripta in Duomo a pregare per la salute del Papa. Davanti al corpo di San Carlo e alla tomba di Ferrari”. Nel pomeriggio del 31maggio partì da Linate per Roma in aereo. Insieme ai tre fratelli del Papa, Saverio, Alfredo e Giuseppe, alla sorella Assunta, e a due nipoti, Privato e Zaverio. Atterrato nella capitale con loro si precipitava nel Palazzo Apostolico per dare a Roncalli quello che sarebbe stato il suo penultimo saluto. “Ho pregato accanto al nostro veneratissimo Papa e poi ho osato accostarmi e gli ho baciato la mano inerte“, scrisse Montini ai milanesi. Accennando alla diffusa commozione sul volto dei cardinali e dei congiunti seduti intorno al letto immobili. Lo sguardo verso il papa buono. Quasi a contarne i respiri e a rievocarne le memorie. “Con pietà umana serenissima e devozione sicura della sua fede. Davanti all’incombente mistero della morte. Come se fosse avvenimento solenne e soave“.

Giacomo Galeazzi: