Questa volta non ci sono le armi a minacciare gli atleti, né coloro che gli atleti andranno a vederli (i tifosi) o a seguirli (la stampa mondiale). Su Tokyo 2020 si è stagliata infatti l’improvvisa e imprevista ombra di un’epidemia, che solo il tempo dirà se e quanto davvero potrà mettere a repentaglio il regolare svolgimento di una manifestazione che è sportiva, sì, ma anche un investimento quantificato in qualcosa come 1.350 miliardi di yen. Certo, la salute viene prima di tutto, ma è soprattutto in virtù del grande sforzo fatto dal Giappone dal 9 settembre 2013 (giorno dell’assegnazione) a oggi che sia il Cio che il governo chiedono tempo per rifletterci su. Tre mesi secondo Dick Pound, il navigato membro del Cio che ne ha parlato all’Associated Press. Altri, come il presidente del Coni Malagò, continuano a garantire che Tokyo 2020 si farà, lo stesso comitato organizzatore ha già fatto sapere che non sarà il coronavirus né la relativa vicinanza con la Cina, focolaio dell’epidemia (e sicura protagonista con centinaia di atleti qualificati) a fermare l’ingranaggio. Ora, però, è il premier nipponico Shinzo Abe ad aver messo a tutti una grossa pulce nell’orecchio, invitando i propri delegati ad accantonare, per il momento, l’idea di svolgere eventi di massa nelle città dell’arcipelago (dove al momento i casi sono 172, con 2 decessi e 22 guariti). Forse la prima volta in cui le Olimpiadi giapponesi hanno davvero subito uno scossone, non arrivato nemmeno quando aveva iniziato a circolare la voce di una candidatura alternativa (come ai tempi della riassegnazione a Helsinki). Un’ipotesi nemmeno presa in considerazione dai giapponesi, per i sette anni di preparativi da parte di Tokyo e anche per il tempo infinitamente ridotto che un’eventuale altra città si ritroverebbe a disposizione per allestire un evento da oltre 11 mila atleti (attesi).
Del resto, vista l’espansione comunque globale del virus, che sia Tokyo o un’altra città cambierebbe poco. Il punto è capire a che punto sarà l’epidemia da qui a qualche mese. E, nondimeno, se la questione sarà ancora così grave da scoraggiare almeno in parte coloro che avevano deciso di trascorrere a Tokyo qualche giorno d’estate per assistere ai Giochi, fornendo quell’intrinseco supporto che possa permettere al Giappone di pareggiare i conti. A pensarci bene, peraltro, il dubbio riguarda quasi solo l’Olimpiade: si parla meno dell’Europeo di calcio, per la prima volta itinerante, mentre altre manifestazioni sportive già sospese non hanno fatto troppo rumore, dalla J-League giapponese al match del Sei Nazioni Italia-Irlanda a qualche partita della Serie A italiana che, addirittura, potrebbe vedere i prossimi match giocati a porte chiuse, con conseguenze non certo trascurabili. Persino i dubbi sul disputare o meno le prime gare del Mondiale di Formula 1, altra macchina da miliardi in termini di visibilità e sponsor, non sembrano occupare grande spazio nelle cronache. Il punto è che non solo le Olimpiadi rappresentano un evento singolo al quale le città si avvicinano allestendo una vera e propria industria ad hoc, ma anche un appuntamento che porta tanto in termini di marketing, servizi, sviluppo e tutto quello che ne deriva. Quasi scontato, a questo punto, che l’organizzazione vada avanti finché le sarà possibile farlo. Ovvero fino alla fine, come tutti si augurano. Poiché, in caso, vorrebbe dire che l’emergenza coronavirus sarebbe rientrata nei ranghi e che il rischio di contagio non sarebbe più tale da compromettere tutto. Per il momento, ossia fino a metà marzo, il mondo dello sport rimane in attesa di saperne di più, dai medici prima ancora che dai comitati. Come tutti noi del resto.