La voce degli ultimi

mercoledì 25 Dicembre 2024
12.4 C
Città del Vaticano

La voce degli ultimi

mercoledì 25 Dicembre 2024

L’importanza di riconoscere la capacità giuridica del concepito

La proposta di modifica dell’art. 1 del codice civile per riconoscere la capacità giuridica ad ogni essere umano fin dal concepimento ha sollevato non poche discussioni, perché giudicata in conflitto con la legge sull’aborto ritenuta “intoccabile”. Ma è proprio così? Per rispondere, è importante comprendere come si è arrivati a questa proposta, qual è il suo significato e quale il fondamento storico, culturale e giuridico. Diciamo subito che essa non nasce adesso bensì 28 anni fa, quando – lanciata come proposta di legge di iniziativa popolare dal Movimento per la Vita – fu presentata la prima volta alla Camera dei deputati il 20 luglio 1995 con il corredo si 197.277 sottoscrizioni tra le quali quelle di 400 docenti universitari e di 16 rettori di università. Fu poi fatta propria dal Forum delle Associazioni Familiari (presidente Luisa Santolini) che nel contesto della c.d. “Vertenza famiglia” promosse una petizione che raccolse oltre 1.400.000 adesioni così rafforzando l’autorevolezza della proposta. Il 1° febbraio 1997, alla vigilia della Giornata per la Vita di quell’anno, fu oggetto di un importante e partecipato convegno che si tenne a Firenze al Palazzo dei Congressi. Ne illustrarono le ragioni Giuliano Amato, Antonio Baldassarre, Luisa Santolini, Francesco D’Agostino e Carlo Casini. Significative le parole di Amato: «Ho l’impressione che appartenga a residui […] storicamente archiviati che la capacità giuridica si acquisti al momento della nascita». La proposta, assegnata in quella legislatura alla competente Commissione della Camera con il n. 5, non è stata mai discussa né in quella legislatura, né nelle legislature successive che la videro ripresentata da numerosi Parlamentari sia al Senato che alla Camera. È stata però sempre ritenuta una proposta fondamentale per affermare il principio di uguaglianza. Lo stesso Giuliano Amato è tornato sull’argomento nel 2011 in occasione dell’annuale Convegno del Movimento per la Vita: «Il tema da voi trattato è tra quelli che molti cercano di accantonare e che tuttavia ritornano sulla scena perché sono ineludibili. La vita inizia con il concepimento e il bambino concepito è già una creatura che inizia il suo cammino nel mondo. Sono convinto, e non da oggi, che una delle implicazioni di ciò sia il riconoscimento della sua capacità giuridica, che è capacità di essere titolare di diritti tutelabili e tutelati dall’ordinamento già dal concepimento. Così […] dovrebbe essere nella realtà civile e sociale del nostro tempo».

Il punto di partenza e di arrivo è il principio di uguaglianza, cardine della modernità. Tutti gli esseri umani sono uguali. Tutti. Il comune denominatore che rende uguali è il valore della vita, chiamato anche dignità umana le cui caratteristiche sono l’inerenza e l’uguaglianza. Il titolo della dignità è l’appartenenza alla famiglia umana. La prima, più elementare manifestazione della dignità umana è il diritto alla vita. È questa una conquista tra le più rilevanti, consacrata nelle Carte sui diritti dell’uomo inaugurate dopo il secondo conflitto mondiale.

A questo cardine della modernità – l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani: sempre persone e mai cose, sempre soggetti e mai oggetti, sempre fini e mai mezzi – si lega la proposta di modificare l’articolo 1 del codice civile il quale attualmente recita: «La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita». La proposta chiede la modifica del primo comma dell’art. 1 c.c., in questi termini: “Ogni essere umano ha la capacità giuridica dal momento del concepimento”, lasciando intatto il secondo comma. Il tema di fondo, si è detto, è straordinario e fondamentale: l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Si tenga presente che l’art. 22 della nostra Costituzione stabilisce che “nessuno può essere privato, per ragioni politiche, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”: neppure un solo essere umano può essere privato della capacità giuridica. Il riferimento alle ragioni politiche evoca dolorosamente quelle razziali che, proprio nell’art. 1 c.c., avevano aggiunto un terzo comma poi giustamente abrogato nel 1944: “le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dalla appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. Abrogare quel comma è stata giustamente considerata una conquista. L’art. 6 della Dichiarazione Universale sui diritti dell’uomo e l’art. 16 del patto sui diritti civili e politici attribuiscono a “tutti” il diritto al riconoscimento della capacità giuridica. Più esplicitamente ancora l’art. 3 della Convenzione americana sui diritti dell’uomo attribuisce la capacità giuridica fin dal concepimento.

Ma che significa propriamente “capacità giuridica”? È l’espressione “tecnica” con cui il diritto separa i soggetti (persone) dagli oggetti (cose), in base all’attitudine dei primi ad essere titolari di diritti. Una volta riconosciuto anche un solo diritto, non si può escludere la qualifica di persona, di soggetto, per chi ne è titolare. Nel nostro ordinamento ci sono già diverse importanti indicazioni che orientano verso il riconoscimento della capacità giuridica dell’essere umano in fase embrionale. Una per tutti è l’art. 1 della legge 40/2004 sulla “procreazione medicalmente assistita: «la legge assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Ci sono anche la giurisprudenza della Cassazione in cui il concepito è definito “centro di interessi giuridicamente tutelato” (n. 11503/1993) e quella della Consulta che afferma la tutela costituzionale del concepito in base all’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti dell’uomo (sent. 27/1975) e in particolare riconosce il diritto alla vita (sent. 35/1997). Nella stessa direzione alcuni importanti pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica. In ogni caso, all’essere umano nella fase embrionale non è mai stata negata l’umanità, anzi essa è evocata quando, come nella sentenza costituzionale 229/2015 si afferma che “l’embrione non è certamente riducibile a mero materiale biologico” e che “esiste l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione”. Tuttavia, l’accoglimento della riforma dell’art. 1 del cod. civ. darebbe sfogo agli indirizzi normativi e giurisprudenziali presenti nel nostro ordinamento i quali proprio a causa dell’attuale art. 1 si trovano come sotto un “coperchio” sollevando intricati problemi interpretativi. Si potrebbe obiettare che l’esclusione della capacità giuridica del concepito stabilita nel primo comma dell’art. 1 del codice civile vale nell’ambito del diritto privato, ma non in quello pubblico, particolarmente in quello costituzionale. Questa corretta osservazione deve però fare i conti proprio con la sentenza costituzionale che ha aperto la strada alla legge sull’aborto. Essa, senza esplicitarlo, ha probabilmente pensato all’art. 1 del codice civile quando ha negato al concepito – nei confronti del quale erano stati richiamati i diritti dell’uomo di cui all’art. 2 – la qualità di persona. La parola “persona” è stata usata in funzione discriminatoria tra esseri umani nati e esseri umani non ancora nati. Un ragionamento rigoroso in termini tecnico-giuridici avrebbe dovuto riconoscere persona anche il concepito, in quanto titolare dei diritti dell’uomo. L’implicito richiamo all’art. 1 c.c. è comunque del tutto inconferente poiché esso riguarda esclusivamente il campo del diritto privato, mentre il diritto alla vita attiene alla sfera costituzionale, cioè al diritto pubblico, ma ciò dimostra il “peso” che questa norma di diritto civile ha anche in altre parti dell’ordinamento.

Detto ciò, il respiro culturale sarebbe davvero grande, perché si tratta di portare a compimento il moto storico che nel corso dei secoli ha di volta in volta ha liberato da una condizione di inferiorità intere categorie di esseri umani in nome della forza espansiva della dignità di ogni essere umano, dunque del principio di uguaglianza. L’articolo 1 del codice civile andrebbe dunque modificato, perché la direzione del progresso civile richiede l’estensione del principio di uguaglianza – è uno di noi – anche a coloro che esistono, ci sono, ma che semplicemente sono così piccoli da poter essere facilmente scartati, ignorati, cancellati.

«La proposta non vuole essere un gesto declamatorio o provocatorio. Vuole indicare una strada per uscire da sterili polemiche, vuole contribuire ad una ricomposizione morale e civile», scriveva Carlo Casini. Non si agitino dunque quanti temono che la legge sull’aborto venga “toccata”, ma si pongano seriamente la domanda: qual è il presupposto ideologico della 194? Se il presupposto è la pretesa del “diritto di aborto”, è chiaro che diventa insopportabile tutto ciò che mette in luce la presenza di un figlio reale e concreto che vive e cresce nel grembo della mamma, perché pretendere quel “diritto” significa cancellare quel figlio non solo dal grembo, ma anche dalla mente e dal cuore, come se non esistesse, come se non fosse mai esistito. Ma i più tra coloro che sostennero e sostengono la 194, affermano che essa intende tutelare la maternità durante la gravidanza e la salute della donna, mantenendo una posizione “agnostica” rispetto al figlio. Allora perché alzare barricate? «Mi pare che non sia banale ripetere con linguaggio giuridico – scriveva ancora Carlo Casini – che tutti gli uomini sono sempre uguali nel loro misterioso valore e che non si può dare nessun essere appartenente alla specie biologica umana che non sia per ciò stesso un uomo e perciò soggetto, una entità sottratta al regno delle cose. Del resto (genetica, aborto…) parleremo dopo. Ma intanto come non convenire o almeno non confrontarsi su questo punto?». Se la riforma dell’art. 1 del codice civile servisse a far maturare la capacità di sguardo totale sulla donna e sul bambino nel suo grembo, a irrobustire la responsabilità dei genitori, della società e della politica nei confronti di coloro che sono in viaggio verso la nascita con misure che abbraccino la sua mamma in una logica di condivisione delle difficoltà – applicando l’art. 5 della legge 194 – , a delineare nuove modalità di tutela della vita nascente e della maternità durante la gravidanza, la riforma sarebbe davvero un grande passo avanti per tutta la società.

ARTICOLI CORRELATI

AUTORE

ARTICOLI DI ALTRI AUTORI

Ricevi sempre le ultime notizie

Ricevi comodamente e senza costi tutte le ultime notizie direttamente nella tua casella email.

Stay Connected

Seguici sui nostri social !

Scrivi a In Terris

Per inviare un messaggio al direttore o scrivere un tuo articolo:

Decimo Anniversario