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L’esichia, o arte della vigilanza

Talvolta ci viene richiesta una vigilanza eccessiva tanto opprimente da risultare decisiva per definire alcuni momenti di equilibrio precario e di fragilità; ad esempio le restrizioni della pandemia, l’attenzione a noi stessi e a chi ci sta più vicino, quella istituzionale, sociale…. e così via.

Sembra naturale desiderare un po’ di relax, di riposo, non si può essere bersaglio di questi stimoli che ci vorrebbero a funzionare come macchine.

Ma Gesù non si stanca. Pur essendo consapevole dei nostri limiti ribadisce l’importanza della vigilanza. Per quale motivo? Non bastano le circostanze fastidiose che abbiamo appena ricordato?

Lui vede quanto siamo resistenti, quanto ci siamo abituati a non essere vigilanti e perciò, ad esempio, sopportiamo con fatica la pandemia che stiamo vivendo.

La vita comoda non favorisce la vigilanza allo stesso modo di una troppo pesante che ci toglie le forze e ci affatica. Come vigilare nel modo più corretto? Come trovare una giusta misura?

Un padre del deserto per spiegare la necessità della giusta misura ha usato l’immagine dell’arco: per funzionare deve essere teso, ma troppo teso si rompe. Così come noi: per andare avanti nel migliore dei modi dobbiamo essere vigilanti, attenti, come dice Gesù “Fate attenzione, vegliate”. Ma senza esagerare! Per questo i padri del deserto hanno sviluppato l’arte della vigilanza e l’hanno pian piano trasformata nello stile, o piuttosto nella cultura, della preghiera: l’esichia.

Gesù spiega a che cosa serve questa vigilanza: per renderci pronti. A che cosa? A tutto ciò che può succedere avendo a che fare con la nostra natura fragile – da uno scontro con un amico alla pandemia, da una malattia alla morte di un vicino. Si, ci sono tanti momenti positivi nella vita, ma quelli negativi ci segnano di più. La vigilanza è proprio la riduzione di questo sentire segnato che appartiene ai momenti brutti della vita: o ci anestetizziamo contro di esso cercando di evitarlo, o ne minimalizziamo le conseguenze cercando di prevederle e gestirle, altrimenti i danni sono molto più grandi, sia dal punto di vista psicologico che materiale.

Ma Gesù mostra che non si tratta solo della nostra sicurezza personale. In questo mondo abbiamo qualche missione da svolgere: ognuno ha la propria, a seconda della sua chiamata. “Ciascuno ha il suo compito”. Però deve vigilare solo il portiere? Inizialmente Gesù non si pronuncia sulla vigilanza degli altri servi, ma lo fa solo parlando del ritorno del padrone. Questo suo tratto è il tratto molto stupefacente di Dio, che viene esplicitamente presentato nel Capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo: il padrone (quindi Dio) è un uomo duro, che miete dove non hai seminato e raccoglie dove non hai sparso.

Come mai? Questo ci spaventa, ma allo stesso tempo non è forse anche un segno di apprezzamento, del Suo prenderci sul serio? Come avviene nella parabola sui talenti: due dei tre personaggi hanno fatto quanto ci si aspettava da loro!

La parola “business”, in latino “negotio” significa proprio essere occupato, attivo, vigilante nel senso pratico. Chi vuole raggiungere, guadagnare qualcosa si mette a lavorare. Un momento di distrazione può costare molto. Anche se alcuni dicono che non esistono i talenti che conta solo l’attività del lavoro ben orientata.

La vita spirituale, la salvezza non hanno più valore di qualsiasi imprendimento umano? Ci lamentiamo di non aver raggiunto molto dimenticando che non vogliamo impegnarci su serio. E nella vita spirituale aspettiamo che arrivi tutto solo da Dio. Si, la grazia esiste e agisce, ma dobbiamo collaborare con essa. Non doveva essere così, ma Dio lo ha voluto. E perciò Gesù insiste sulla vigilanza.

Si potrebbe essere disgustati dalle argomentazioni negative che si fondano sulla paura, ma non è pienamente così; la vigilanza ha un grande valore antropologico ed esistenziale.

Lo ha intuito bene Simone Weil: “L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, nel mantenere in prossimità del proprio pensiero, ma a un livello inferiore e senza contatto con esso, le diverse conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. Il pensiero, rispetto a tutti i pensieri particolari preesistenti, deve essere come un uomo su una montagna, che fissando lontano scorge al tempo stesso sotto di sé, pur senza guardarle, molte foreste e pianure. E soprattutto il pensiero deve essere vuoto, in attesa; non deve cercare nulla ma essere pronto a ricevere nella sua nuda verità l’oggetto che sta per penetrarvi. (…)

Non soltanto l’amore di Dio è sostanzialmente fatto di attenzione: l’amore del prossimo, che sappiamo essere il medesimo amore, è fatto della stessa sostanza. Gli sventurati non hanno bisogno d’altro, a questo mondo, che di uomini capaci di prestar loro attenzione. La capacità di prestare attenzione a uno sventurato è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo. Quasi tutti coloro che credono di avere questa capacità, non l’hanno. Il calore, lo slancio del sentimento, la pietà non bastano”.

La vigilanza, l’attenzione sono gli strumenti prediletti dell’amore. Ecco la ragione per cui Gesù ripete quanto sia necessaria la vigilanza. Se la pandemia ci mostra dolorosamente che non viviamo da soli, la pratica della vigilanza può fare di questa scoperta una strada spirituale quindi partecipe della gioia dei santi!

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