Francesco ha messo l’ecumenismo al centro del Magistero. Il suo pontificato passerà alla storia come uno dei più focalizzati sul superamento dello scandalo della divisione tra fratelli. Esorta il Papa: “Camminiamo insieme, pregando l’uno per l’altro e facendo opere di carità. E così facciamo la comunione in cammino. Questo si chiama ecumenismo spirituale. Camminare il cammino della vita tutti insieme nella nostra fede, in Gesù Cristo il Signore”. Gesù stesso vuole l’unità dei cristiani e prima di affrontare la Passione prega il Padre affinché i suoi discepoli siamo una cosa sola. E proprio la divisione dei cristiani è appunto uno scandalo che intacca la stessa opera di Gesù. Credere in Cristo significa volere l’unità”. L’enciclica di Giovanni Paolo II “Ut unum sint” (1995) indica la necessità che “il modo e il metodo di enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli”, nella consapevolezza che esiste “una gerarchia nelle verità della dottrina cattolica”. A fondamento dell’impegno ecumenico di Jorge Mario Bergoglio c’è poi il voto con cui oltre duemila vescovi, alla fine della terza sessione del Concilio Vaticano II, votarono il decreto sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio“. Un documento fondamentale che rappresenta un punto di arrivo, di non ritorno e di partenza per la Chiesa cattolica, con affermazioni significative e vincolanti per un cammino di capitale importanza.
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Secondo il teologo Orioldo Marson, vicario episcopale per il rinnovamento e l’attuazione del cammino sinodale a Pordenone, la vibrante e commossa preghiera di Gesù (ut unum sint) interpella i fedeli a cercare le vie della riconciliazione e del dialogo verso l’unità in Cristo. L’ecumenismo rappresenta un disegno di grazia, posto sotto la forza dello Spirito che ha effuso con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione, un segno dei tempi da riconoscere e accogliere a servizio dell’unità del genere umano. E dallo spirito ecumenico nasce una tensione evangelica rivolta ad abbattere i muri della divisione e a costruire ponti fra l’incontro fra religioni, popoli e culture. L’inizio del movimento ecumenico moderno risale al 1910, l’anno dell’assemblea missionaria di Edinburgo quando i rappresentanti delle società missionarie protestanti, più di 1300 persone, si riuniscono per trovare rimedio agli scandali e ai danni causati alla missione dalla divisione tra le Chiese. A giudizio di Marson l’annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII, in un giorno emblematico, il 25 gennaio 1959, nella cattedrale romana di San Paolo fuori le mura, segna una svolta provvidenziale nel cammino ecumenico della Chiesa cattolica.
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“Dobbiamo perseguire una reale fratellanza, basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia reciproca- sostiene Francesco-. Il fuoco dello Spirito Santo consumi le nostre diffidenze. È assai prezioso il comune impegno dei fratelli cristiani”. La preoccupazione per l’unità dei cristiani è ben presente nel cuore e nel pensiero di papa Angelo Roncalli. Il Concilio ecumenico non ha soltanto lo scopo del bene spirituale del popolo cristiano. Esso vuole essere anche un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità alla quale tante anime aspirano in tutte le parti della terra. L’invito rivolto agli osservatori di tutte le Chiese a presenziare alle assemblee conciliari è un gesto di notevole portata. Dopo anni di silenzi ufficiali, di scambi per lo più sotterranei e lasciati all’iniziativa personale, la Chiesa cattolica coglie l’urgenza del dialogo ecumenico. L’intero Vaticano II si è svolto sotto il segno dell’ecumenismo, per lo spirito presente nei lavori conciliari come anche per la prospettiva generale dei documenti. Nella costituzione sulla Chiesa, la Lumen Gentium, dal punto di vista ecumenico, sono significative due scelte che riguardano la struttura generale del documento. L’esposizione inizia presentando il popolo di Dio nel suo insieme, prima di trattare della costituzione gerarchica della Chiesa. Per Marson se la Chiesa cattolica ha ricevuto dall’esterno l’ecumenismo, con il Concilio ne ha fatto il suo programma. Dal Concilio sono nati gli impulsi che hanno permesso non solo l’istituzione del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, ma anche una lunga serie di dialoghi bilaterali e multilaterali tra le diverse Chiese.
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La riscoperta della fraternità tra i cristiani, come scrisse Karol Wojtyla nell’enciclica Ut Unum Sint, rappresenta il grande frutto del cammino ecumenico. Il Concilio ha rappresentato la svolta che ha consentito la partecipazione cattolica al movimento ecumenico. La costituzione del Segretariato per l’unione dei cristiani, la presenza al Concilio di osservatori non cattolici, i documenti conciliari, la domanda e l’offerta di perdono da parte di Paolo VI agli altri cristiani per i peccati commessi contro l’umanità, costituiscono altrettanti elementi di questa svolta. A partire dal 1965 la Chiesa cattolica è entrata in dialogo, a livello internazionale e locale con tutte le altre grandi famiglie di Chiese cristiane. I dialoghi bilaterali con le principali famiglie confessionali e comunioni cristiane mondiali rappresentano una forma di impegno ecumenico particolarmente congeniale alla Chiesa cattolica. Il 5 dicembre 1965, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI diceva che il Concilio, per sua natura, è un fatto che deve durare. Se davvero esso è stato un atto importante, storico e, sotto certi aspetti, decisivo per la vita della Chiesa, è chiaro che “noi lo troveremo sui nostri passi ancora per lungo tempo. Ed è bene che sia così”. E così è stato, da cinquant’anni a questa parte, senza smentire, nemmeno per un istante, la profetica considerazione del primo papa moderno (come lo hanno definito i biografi) che accompagna la Chiesa a misurarsi con le intuizioni del Concilio Vaticano II, un evento – precisava Paolo VI – “che prolunga i suoi effetti ben oltre il periodo della sua effettiva celebrazione. Deve durare, deve farsi sentire, deve influire sulla vita della Chiesa“.