C’è grande fermento per rivedere norme e garanzie per il sistema degli ammortizzatori sociali e riguardo le politiche attive del lavoro, con grandi attese dei lavoratori e annunci della politica. La questione è davvero di enorme importanza, data la situazione a dir poco malferma della stabilità della occupazione resa ancor più problematica dalla pandemia, e di un mercato del lavoro che presenta vistose contraddizioni a causa della scarsità endemica di qualifiche professionali più calzanti con le esigenze d’impresa protese verso esigenze di produzioni nuove e competitive. Comunque temi di tale portata non è conveniente per gli interessi dei lavoratori, delle imprese e del Paese tutto, affrontarli in fretta e furia in contraddizione tra loro e scollegati con gli obiettivi generali che riguardano la crescita del paese con un welfare inclusivo ed efficiente.
Infatti le direttrici delle riforme devono essere compatibili con le esigenze di crescita delle professionalità in linea con la rivoluzione digitale che ha investito ogni ambito produttivo: dal terziario avanzato, all’agricoltura, dalle industrie 4.0, al settore delle costruzioni, dai settori della energia alla ristorazione o ai servizi alla persona. D’altronde buona parte degli investimenti che si faranno con i denari prestati e a fondo perduto assicurati a noi dall’Unione Europea, potranno avere un effetto moltiplicatore alla sola condizione di riforme profonde che risolvano davvero i nodi aggrovigliati da tempo della giustizia, del fisco, della P.A. e del lavoro.
Su questi argomenti l’insistenza delle autorità europee è continua ed occorrerà recuperare il tempo perduto. Dovrà avvenire per gli ammortizzatori sociali da impostare in senso universalistico e paritario per ogni lavoratore, con un sistema proprio di finanziamento che ne garantisca autonomia ed efficacia al riparo da ogni tentazione di assistenzialismo. Se il governo intende svolgere un ruolo all’altezza delle esigenze odierne, dovrà invitare le parti sociali a cucire un loro abito su misura sugli ammortizzatori che per naturale loro responsabilità non potrà che essere lontano da tentazioni assistenzialistiche, legando indissolubilmente i periodi di necessaria interruzione del lavoro per gli svariati motivi da prevedere, all’utilizzo intensivo dei tempi di non lavoro all’obbligo di partecipazione a corsi da frequentare per la rielaborazione della propria professionalità, con la perdita della indennità cig nel caso di mancata partecipazione.
Il sistema dei fondi interprofessionali governati dalle parti sociali, potranno ben assicurare i corsi necessari. Questi fondi in buona parte sono abbastanza efficienti e potranno senz’altro essere utili allo scopo di ottenere un cambiamento di non poco conto rispetto alle attuali scoraggianti esperienze. Il governo dovrà naturalmente avere ruolo per la definizione della riforma, ed a valle delle decisioni delle parti sociali potrà far valere la propria responsabilità intervenendo con vantaggi fiscali soprattutto a favore delle piccole imprese sugli oneri di contribuzione che li coinvolgerà. Dunque legare gli ammortizzatori allo strumento più importante delle politiche attive del lavoro, la formazione, procurerà una vera benefica rivoluzione nel mondo del lavoro con cambiamenti non di poco conto sulle distinte responsabilità delle parti sociali e del governo oltre alla fine inesorabile delle vecchie abitudini all’uso scriteriato puramente assistenziale degli ammortizzatori.
L’altro punto non può riguardare che gli strumenti che rendono gestibile l’incontro veloce e produttivo tra la domanda e l’offerta di lavoro. Tanti sono stati i fondi pubblici che si sono buttati al vento in nome del rendere funzionante il “collocamento”. Si è voluto con dispendio di risorse considerevoli gonfiare a tutti i costi i cosiddetti uffici dell’impiego, costituiti improbabili task force come i “navigatori”, che presto si sono rivelati del tutto incapaci di facilitare assunzioni, se non l’assunzione copiosa di coloro che sono stati assunti per questo compito. Questo prezioso lavoro lo può svolgere produttivamente solo chi conosce giornalmente le realtà d’impresa, cioè che agenzie private che dietro compenso delle imprese hanno tutto l’interesse a ridurre i tempi di incontro tra chi cerca nel mercato del lavoro professionalità occorrenti e chi cerca una impresa che lo può impiegare.
Penso dunque che queste riforme si faranno bene solo se si vorrà metterci al riparo da chi nel governo vuole distribuire senza senso soldi dei contribuenti per farsi bello con gli elettori, e chi nel sociale gli chiede assistenzialismo. Alcune esperienze del passato di casse integrazioni senza fine, ed ultimamente il caso eclatante dei redditi di cittadinanza elargiti senza alcun criterio riconducibile al buon senso, ci segnalano la necessità di cambiare e di farlo davvero.