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La vera rinascita dell’Europa

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L’Europa, come realtà storica, nasce all’indomani del secondo conflitto mondiale dinanzi al triste spettacolo di morte e devastazione che per anni aveva imperversato. Eppure, al pessimismo di quegli anni, grazie al dinamismo ed alla ferrea volontà dei padri fondatori, subentrò la speranza, nella consapevolezza che un’Europa unita si sarebbe potuta costruire per gradi, per piccoli passi.

Si imponeva alle coscienze l’imperativo etico di voltare pagina e di ricostruire il futuro a partire dalle macerie che la guerra aveva lasciato dietro di sé. Esperienze come quelle che avevano avuto luogo non dovevano più ripetersi, ragion per cui si fece strada il tentativo di gettare le basi su cui costruire il nuovo processo di unificazione.

Ma era fondamentale procedere ben oltre anche nel senso di una vera e propria unificazione spirituale. E’ opportuno, infatti, richiamare l’attenzione sulla costituzione di uno spirito identitario europeo che trascenda le singole nazionalità e superi i cosiddetti legami di sangue e di razza a favore di una nuova identità, costituita dall'”unità nella diversità”. Ricordiamo, al riguardo, le parole di De Gasperi: “È la volontà politica unitaria che deve prevalere. È l’imperativo categorico che bisogna fare l’Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve anzitutto servirci da guida…”.

Pertanto, dì fronte alla crisi evidente dell’Unione europea, c’è da chiedersi se la rinascita della stessa Unione possa oggi essere determinata da classi politiche e da strutture burocratiche che non godono più della fiducia dei corpi elettorali di riferimento che invece le percepiscono distanti se non devastanti.

Il deficit democratico dell’Unione europea è dato dal fatto che i popoli non sono mai stati effettivamente coinvolti nei vari processi di costituzione e di riforma. L’unione può rinascere soltanto sulla base di un nuovo patto tra i popoli e non tra i poteri.

E allora giova ricordarsi di un orizzonte storico ancora più lontano di quello indicato in apertura: mi riferisco al monachesimo. Se dovessi attribuire una nascita simbolica alla modernità in Europa, sceglierei una data non sospettabile: il 529, anno in cui viene fondato il monastero di Montecassino. E’ allora che nasce l’Europa, quando San Benedetto dissemina i suoi monaci per costruire una rete che da allora non è più venuta meno. Lancia i suoi monaci sulla base di un motto che ben conosciamo: “Ora et labora”. E’ da questa intuizione – ovvero mettendo insieme la preghiera, l’invocazione e la contemplazione, l’amore per il mondo e per gli altri esseri umani, con l’opera della mano, e soltanto in questo modo – che si usciva dal passato, dalla catastrofe del mondo antico, da quel che era accaduto un secolo prima, quando in tre giorni tremendi Roma fu distrutta dai Visigoti.

A partire da San Benedetto e i benedettini incomincia la profonda intuizione che la verità è affidata all’opera congiunta del guardare il cielo e dell’operare con le mani sulla terra, all’opera di congiungimento di questi due poli, quello ideale e quello reale. Questa è la grande differenza del monachesimo occidentale rispetto a tutto il monachesimo contemplativo orientale, questa è l’Europa: i monaci sono l’Europa! Hanno costruito le loro abbazie secondo il criterio che dall’una si doveva vedere l’altra e hanno insegnato ai popoli a pregare e a lavorare comprendendo quale era il frutto del lavoro umano santificandolo.

Queste cose si possono affermare senza essere necessariamente confessionali ma comprendendo il fondamento profondamente cristiano dell’Europa come dato storico; di qui l’assurdità delle obiezioni sul richiamo alle radici cristiane nel preambolo dell’Unione Europea. L’Europa è stata costruita proprio sulla base di questa identità che si smarcava dall’Oriente, che definiva un progetto. Progetto che poi nelle scuole, nelle botteghe artigianali, negli arsenali, nei progetti di cartografia degli italiani, dei portoghesi, degli spagnoli e poi nella grande diffusione geografica in tutto il mondo, ha determinato il profilo dell’Europa, determinato dall’unione di arte delle mani e dell’ingegno: geografia, cioè capacità di scrivere il proprio progetto nella terra, tecnologia e, infine, scienza.

Tutti siamo chiamati oggi a rispondere al compito che ci aspetta, a contribuire attivamente alla creazione e al consolidamento di questo spirito nonché all’abbattimento delle frontiere a partire da quelle interiori. Quel che più urge è ancora una volta la necessità di partecipare a questi cambiamenti che da anni ormai interessano il mondo nel quale viviamo, contribuendo a far crescere veramente lo spirito dell’Europa affinché ciascuno di noi possa sentirsi oltre che italiano, francese, rumeno, bulgaro, greco, anche e soprattutto europeo. È necessario un mutamento delle coscienze perché è probabilmente un privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo e dovuto imparare, più di altri Paesi, a convivere con la diversità.

L’unità nella varietà è l’espressione che meglio rende l’idea di identità nuova che si intende conferire all’Europa, in nome dei vari popoli che la costituiscono e della sua infinita ricchezza interiore. Preservare le differenze nel pieno rispetto della loro dignità significa mantenere aperti ampi varchi di libertà, perché l’Europa è una e molte al contempo, in un nuovo intendimento della stessa identità e del senso di appartenenza; e quindi lo spirito di Gesù può essere ancora una volta il cuore e il perno di questa nuova sfida. È dunque auspicabile che, alla raggiunta unità politica di questa compagine di stati, si ritorni presto e si rigeneri un’unità spirituale, compito ben più arduo in quanto coinvolge l’essere umano nella sua essenza più intima. Forse a partire dai nostri monaci europei, quasi in via di estinzione e soprattutto troppo intimiditi, dovrebbero invece avere più coraggio e magari scendere anche in strada come fecero i monaci buddisti della Birmania nel 2007 per chiedere la libertà e difendere il proprio popolo stremato dalla miseria e dalla dittatura. Sarebbe sconvolgente vedere i nostri monaci cattolici unirsi sulle strade della storia per richiamare l’Europa a rinascere invece di continuare a distruggersi.

don Aldo Buonaiuto: Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata