La pandemia del Covid-19 che ha invaso il mondo non ha a che fare solo con la medicina e la politica, ma anche con la ricerca di un senso profondo dell’esistenza, con la fede in Dio e la preghiera “come elemento costitutivo di tutte le religioni e dimensione fondamentale di qualsiasi umanesimo” come sosteneva il teologo Jean Danielou nell’opera: “La preghiera problema politico”. Basti ricordare l’interesse che ha suscitato la preghiera di papa Francesco il 27 marzo scorso in una piazza san Pietro deserta e vuota, le pratiche religiose di tutti i credenti in questo tempo di crisi. In questo contesto si colloca la giornata di preghiera, digiuno e carità, per chiedere a Dio la guarigione da questa pandemia indetta ieri dall’Alto comitato per la fratellanza umana.
Papa Francesco nell’omelia a casa Santa Marta di ieri ha invitato a pregare assieme ai fratelli e le sorelle di ogni tradizione religiosa, perché Dio fermi questa tragedia concepita come un diluvio improvviso, ma anche tutte le altre pandemie come la guerra, la fame e la mancanza di educazione. Questa crisi globale di carattere sanitario rimanda a una crisi più profonda, che richiede una “pandemia spirituale”, un’unione di tutti i popoli per sconfiggere tutti i virus che infettano il nostro mondo. Papa Francesco ha messo le mani avanti dicendo che questa iniziativa non è “relativismo religioso” perché “noi non stiamo pregando l’uno contro l’altro, questa tradizione religiosa contro questa, no! Siamo uniti tutti come esseri umani, come fratelli, pregando Dio, secondo la propria cultura, secondo la propria tradizione, secondo le proprie credenze”.
Questa giornata ha coinvolto cattolici e ortodossi, mussulmani e ebrei, buddisti e induisti, ma anche persone non religiose. Non si tratta di annullare le differenze in nome di una generica fratellanza umana o di una religione mondiale di stampo sincretista. Si tratta di prendere atto con realismo della necessità della convivialità delle differenze fra le varie religioni, della ”luce policromatica delle religioni”, per usare un’altra espressione di papa Francesco, che illumina la nostra terra. Il patriarca ecumenico Bartolomeo I ha detto che “la preghiera è un vero atto di libertà, caratterizzato dalla capacità di ogni essere umano di porsi in relazione con Dio per il bene di tutti” che supera sia la tolleranza come l’integralismo. La preghiera, per tutti i credenti, ha una forza che unisce a Dio e crea comunione con gli altri, va oltre barriere e limiti, ci fa camminare verso quella “pandemia spirituale” di cui il nostro mondo ha bisogno.
La preghiera è accompagnata dal digiuno, che è un gesto religioso che riconosce che tutto è dono di Dio, e dall’attenzione ai bisogni degli altri che si traduce in amore e solidarietà. Preghiera, digiuno, carità: sono tre parole chiavi che i cristiani siamo chiamati a testimoniare soprattutto durante la Quaresima, spesso vissuta in modo superficiale, e che i Mussulmani stanno praticando durante il Ramadan. La Giornata di “preghiera, digiuno e carità” del 14 maggio, ha voluto esprimere il desiderio di ogni persona religiosa di testimoniare la forza del proprio patrimonio spirituale a partire dal valore della fratellanza, che consente a persone che sono eguali nella loro dignità, di vivere la diversità come una risorsa per contribuire al bene comune dell’unica famiglia umana.
Il rispetto e l’amore fra persone diverse portano al dialogo, che non distrugge la propria identità religiosa ma aiuta a prenderne una maggiore coscienza e a rafforzarla non contro qualcuno, ma a vantaggio di tutti, per creare una società aperta che realizzi quella che diversi papi hanno chiamato “la civiltà dell’amore”.