“L’Olocausto è una pagina del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria”, scrive Primo Levi, internato ad Auschwitz e autore di “Se questo è un uomo”, sconvolgente testimonianza sull’inferno dei lager, sulla dignità e sull’abiezione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa. La data di commemorazione è carica di significato. Esattamente 80 anni fa, il 27 gennaio 1945, furono abbattuti i cancelli del campo di concentramento-simbolo della Shoah. Bambini, anziani, uomini e donne inabili al lavoro finivano direttamente dal treno alle camere a gas. Un unicum nella storia, pur segnata da sempre da barbarie, guerre, stragi ed eccidi. Mai uno Stato aveva deciso di eliminare un intero gruppo di persone. Sono sempre di meno i testimoni di quell’orrore la cui rimozione rischia avere tragiche conseguenze. Provoca angoscia sentir riecheggiare nelle cronache odierne la parola “deportazione”, così come addolora l’indifferenza che ammanta la riduzione in schiavitù delle vittime della tratta.
E’ fondamentale che nelle scuole venga studiato l’Olocausto e il dovere di ogni educatore è trasmettere conoscenze e valori affinché quanto è successo nel cuore dell’Europa non possa accadere di nuovo, mettendo in guardia le nuove generazioni dal lato più oscuro dell’umanità e dalla perdita totale del sentimento più elementare della pietà. “Ricordare esprime un dovere di civiltà – avverte il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella -. Le parole, specialmente se sono di odio, non restano a lungo senza conseguenze”. Sarebbe una “offesa grave” a tutte le vittime della Shoah se considerassimo quella infausta stagione come un accidente della storia da mettere tra parentesi. Se rinchiudessimo soltanto nella memoria quei tragici accadimenti chiudendo gli occhi sulle origini che hanno avuto e sulle loro dinamiche. “Il fascismo, il nazismo, il razzismo non furono funghi velenosi nati per caso nel giardino ben curato della civiltà europea – sottolinea il Capo dello Stato-. Furono il prodotto di pulsioni, di correnti pseudo culturali e persino di mode e atteggiamenti che affondavano le radici nei decenni e persino nei secoli precedenti”. Ricordare è anche stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta. “Occorre stare attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità”, raccomanda il Pontefice.La più abietta tra le atrocità della storia deve insegnarci a disinnescare sempre e ovunque l’ordigno dell’antisemitismo. Non possiamo subirne passivamente la normalizzazione. Incitare all’odio equivale a iniettare nelle vene del corpo sociale.
Durante la Gmg di Cracovia, Francesco ha visitato ad Auschwitz il “Muro della morte” dove i nazisti fucilavano i prigionieri e la Piazza dell’Appello in cui San Massimiliano Kolbe offrì la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia. Dopo essersi raccolto da solo in preghiera nella cella del frate martire, Jorge Mario Bergoglio scrisse nel libro d’onore: “Signore, perdono per tanta crudeltà!”. Difficile immaginarla, oggi, la Cracovia occupata dai nazisti. È una città orgogliosa del suo passato, la culla del cattolicesimo polacco. Per due secoli ha fatto parte dell’impero asburgico, in stretto collegamento con Vienna e Bratislava, e vi si respira un’aria mitteleuropea. Alla fine del 1942 il ghetto di Cracovia era pieno all’inverosimile. È questo lo scenario dove si muove il “giusto” Oskar Schindler, che può nascondere nella sua fabbrica molti ebrei facendo leva proprio sulla bramosia delle autorità naziste per i risultati del lavoro forzato. Il destino dei suoi abitanti, però, è segnato. A più riprese i tedeschi mettono in atto rastrellamenti disumani, uccidendo sul posto centinaia di persone al minimo segno di reazione.
Nell’ottobre del 1942 settemila ebrei vengono catturati e deportati tra Belzec e Auschwitz, seicento sono quelli uccisi subito, compresi i malati dell’ospedale, gli anziani della casa di riposo e i bambini dell’orfanotrofio. Gli occhi di tutta Cracovia sono puntati sulla sede arcivescovile: monsignor Adam Sapieha si batte come un leone per aiutare la sua gente. Riorganizza la Caritas e la Sodalitas Mariana, dà impulso alla nascita dell’associazione accademica Rinascita che aiuta i francescani a salvare il maggior numero possibile di famiglie ebree. Proprio qui, nelle tenebre più cupe, matura la vocazione di Karol Wojtyla. Dal soglio di Pietro, sarà lui a chiede perdono per il “Golgota del mondo contemporaneo”. Solo mantenendo viva la memoria sull’abominio accaduto nel silenzio del mondo si può impedire di riviverlo.