Un ragazzo di 16 anni, uno di 18, un altro di 20. In tre giorni se ne sono tornati alla Casa del Padre lasciando dietro di loro sgomento, angoscia, pianti. Tre storie diverse che però nascondono lo stesso terribile approccio alla vita, fatto di un misto tra incoscienza e superficialità, spesso figli di una solitudine interiore. E’ impensabile si possa morire minorenni attraversando i binari di una stazione con le cuffiette all’orecchio, tanto storditi dalla musica da non sentire il treno che sta per arrivare; eppure è accaduto, a Bagheria. Ed è altrettanto assurdo morire appena 18enni per fuggire dalla polizia non essendosi fermati a un posto di controllo; eppure è accaduto a Roma. E ancora, schiantarsi a 20 anni, a causa dell’eccessiva velocità, contro un muro di cinta di un albergo e li infrangere qualunque sogno futuro, come è successo a Napoli.
Possiamo derubricare tutto come “casi isolati“, parlare di “fatalità”, argomentare che “in fondo è sempre accaduto”. E invece no. Bisogna chiedersi perché i nostri ragazzi siano tanto distratti, per quale motivo si infilino le cuffiette nelle orecchie fino ad estraniarsi dal resto del mondo (e in tanti lo fanno fin da dentro casa, persino dal momento della colazione, non interagendo neanche con mamma e papà); dobbiamo interrogarci su cosa spinge tanti giovani a trasgredire per il gusto di farlo, a non avere il senso di ciò che si sta per fare, persino andare contromano sul Raccordo viene percepito come una cosa possibile. O ancora correre a velocità folle incapaci di prevedere quel futuro oscuro che c’è dietro all’ultima curva.
Non sono d’accordo con chi dice che i giovani sono scapestrati per natura, che si sentono onnipotenti, invincibili; o meglio, è un atteggiamento latente in ogni adolescente, ma che deve essere mediato dall’educazione, dai limiti che la società stessa impone, dal dialogo in famiglia. Tre elementi che stanno scomparendo nel mondo attuale, nel quale il valore della famiglia è annullato, il dialogo assente e le regole condivise non sono più efficaci, troppo permeate da quel relativismo di fondo che impedisce di distinguere il bene in sé dal male in sé. Correre fino a schiantarsi non è una declinazione della libertà personale, è un’offesa alla vita stessa. E la vittima non è solamente il povero ragazzo che muore, ma la sua famiglia, e la stessa società, incapaci entrambi di entrare nella lunghezza d’onda necessaria per aprire le menti dei nostri giovani.
Un adolescente che perde la vita è sempre una tragedia, ma quando lo fa per queste motivazioni non possiamo assolverci invocando il destino. Siamo noi gli artefici del nostro destino, il discernimento è nelle nostre corde, e le luci che servono per illuminare la strada sono quei valori di cui ormai si fa persino fatica a parlare. Nelle tenebre, che siano metaforiche o reali, non c’è futuro.